Il pioniere Matthew Porteus ha annunciato nuovi studi clinici per il 2021 con un approccio diverso da quello già in sperimentazione per anemia falciforme e beta talassemia
La pandemia ha colpito duramente il mondo delle malattie genetiche. Nei mesi scorsi, infatti, la diffusione del virus SARS-CoV2 ha fermato temporaneamente l’avvio di nuove sperimentazioni cliniche e l’introduzione di nuovi farmaci, proprio mentre stavano crescendo le aspettative per le promesse dell’editing genomico. Questo impatto negativo sugli sforzi in corso per sviluppare e testare le terapie del futuro si è sommato alle conseguenze dirette dell’emergenza COVID-19 sulla vita dei pazienti affetti da patologie come l’anemia falciforme. È un’ottima notizia, dunque, che nelle ultime settimane gli iter burocratici e le speranze si siano finalmente rimessi in moto.
L’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha riconosciuto un interesse prioritario per lo sviluppo della terapia genica CTX001, sperimentata da CRISPR Therapeutics e Vertex Pharmaceuticals per anemia falciforme e beta talassemia, concedendogli la designazione PRIME (PRIority MEdicines), designazione che viene, attribuita a farmaci particolarmente promettenti, mirati a rispondere a un bisogno clinico ancora insoddisfatto. Mentre al di là dell’oceano è stata annunciata la nascita della company Graphite Bio che si prepara a lanciare nuove sperimentazioni cliniche sempre nel campo dell’editing applicato ad anemia falciforme e beta talassemia. Il pioniere dell’editing per le emoglobinopatie Matthew Porteus, che molti hanno conosciuto nel film-documentario su CRISPR “Human Nature”, è cofondatore sia di CRISPR Therapeutics che di Graphite Bio. Lo scienziato di Stanford ha illustrato la differenza tra i due approcci all’International CRISPR and Gene Editing Symposium - Looking Beyond the Bench. “La mia sensazione come clinico è che sia utile offrire ai pazienti e ai loro medici curanti più opzioni tra cui scegliere”, ha detto.
In entrambi i casi si tratta di approcci di terapia genica basati sull’impiego di CRISPR, che consente di modificare in modo preciso il DNA bersaglio nelle cellule da trattare. La differenza è che da una parte si usa il metodo “break things”, ovvero “rompi le cose”, nell’altro si ricorre al “fix things”, ovvero “aggiusta le cose”. La prima strategia consiste nel rompere il freno che impedisce la produzione di emoglobina fetale, riattivandola infatti si può compensare la mancanza di emoglobina adulta funzionale. Per farlo basta che CRISPR tagli il DNA nel punto desiderato, poi la rottura verrà ricomposta in modo non omologo con una ricucitura. La seconda strategia consiste nell’aggiustare la mutazione che causa la patologia, attivando la ricombinazione omologa con una sorta di copia-incolla. CRISPR Therapeutics rompe, mentre Graphite Bio vuole aggiustare.
Nel caso dell’anemia falciforme il sistema “fix things” può essere usato per cambiare una singola lettera nel gene HBB (gene responsabile della sintesi dell’emoglobina): c’è una T che deve tornare a essere A. Per quanto riguarda la beta talassemia, invece, aggiustare le cose significa fare ingegneria genetica di precisione, dirigendo in modo mirato l’inserzione di una cassetta genica. L’obiettivo, infatti, è collocare un gene dentro l’altro, in modo che sia sotto il controllo del suo promotore. “Copiamo l’editing naturale, dove tutto ha inizio con un taglio ai due filamenti del DNA. Studiare la natura può aiutarci a ridurre i rischi e a migliorare l’efficienza”, sostiene Porteus. Il protocollo prevede l’elettroporazione e il ricorso a un vettore virale (AAV6) per introdurre all’interno delle cellule tutto ciò che serve. Ovvero un complesso CRISPR ad alta fedeltà per tagliare e uno stampo per guidare il processo di correzione o per aggiungere la funzione desiderata, a seconda dei casi.
Per l’anemia falciforme, il risultato è un 60-80% di cellule ematopoietiche corrette, che in vitro possono essere selezionate avvicinandosi al 100% e poi, auspicabilmente, usate per i trapianti autologhi nei futuri pazienti. Per i dettagli si può fare riferimento allo studio pubblicato su Nature nel 2016 e alla prepubblicazione su bioRxiv del 2020. Passando dalla scala di laboratorio alla scala clinica c’è una piccola diminuzione della frequenza di correzione del gene, ma il tasso resta abbastanza alto da pensare che sia clinicamente utile. “Contiamo di lanciare un trial di Fase I/II nel 2021, per trattare pazienti con anemia falciforme grave. Almeno inizialmente saranno persone adulte”. La piacevole sorpresa, ha aggiunto il ricercatore, è che il processo di manifattura è abbastanza efficiente “da darci i reagenti necessari per trattare 10 brontosauri, insomma ne abbiamo abbastanza per migliaia di persone".
La beta talassemia può essere considerata una malattia cugina dell’anemia falciforme, perché presenta anch’essa una mutazione a carico del gene dell’emoglobina (HBB). Invece di creare una proteina che si comporta in modo anormale, però, determina un abbassamento del livello della componente beta, per cui si creano aggregati fatti solo di alfa globina che precipitano determinando una severa anemia. Dunque abbiamo due problemi: poca beta globina e troppa alfa globina. La strategia è usare la ricombinazione omologa per eliminare uno dei due geni per la componente alfa e per inserire al suo posto un gene per la componente beta, cosicché la sua espressione sia sotto il controllo degli elementi regolatori endogeni. “Abbiamo portato la frequenza di integrazione a circa il 50%. In questo modo possiamo equalizzare le componenti alfa e beta. Ora stiamo facendo domanda all’FDA per un trial”, ha anticipato Porteus.
Questi approcci potranno affiancarsi a quello di CRISPR Therapeutics, che sta ottenendo ottimi risultati con l’emoglobina fetale anche per la talassemia. Quanto alla prima paziente americana affetta da anemia falciforme trattata col metodo “break things”, Porteus è molto soddisfatto anche se precisa di non avere accesso a informazioni privilegiate. “Victoria Gray sta bene. La quantità di emoglobina fetale è a un livello che dovrebbe prevenire ogni sintomo”, dice. Dall’intervento è passato più di un anno, ma bisognerà verificare gli effetti sul lungo periodo. La strategia si basa sul fatto che molte persone nel mondo mantengono naturalmente alti livelli di emoglobina fetale e generalmente sono in buona salute, ma bisognerà proseguire gli studi per verificare se ci sono effetti sottili che finora sono sfuggiti all’osservazione.