Rna therapies, Huntington, demenza

I dati ad interim degli studi di Fase I/II su AMT-130 hanno evidenziato un rallentamento dell’80% nella progressione di malattia e una diminuzione dei livelli dei neurofilamenti 

Quando si entra nel campo della malattia di Huntington bisogna fare attenzione a dove poggiare i piedi per non sprofondare: infatti, se ogni malattia fosse un terreno da attraversare (al di là del quale c’è una terapia efficace), alcune sarebbero strade di campagna, altre delle autostrade, altre ancora un deserto. La Huntington è una palude dove perdersi è all’ordine del giorno. Ne sono consce le aziende farmaceutiche che, a mo' di esploratori, hanno inviato i loro prodotti sulla strada dello sviluppo clinico, finora senza troppo successo. Occorre perciò prudenza anche di fronte agli incoraggianti risultati preliminari ottenuti da AMT-130, una terapia su RNA sviluppata da UniQure e in valutazione con due studi clinici di Fase I/II.

La biotech olandese - con un portafoglio di potenziali prodotti contro patologie come l’emofilia, la malattia di Fabry o la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) - ha diramato un comunicato stampa per annunciare il raggiungimento dei primi risultati positivi su AMT-130, la sua terapia sperimentale di punta per la malattia Huntington.

Le terapie avanzate rappresentano un settore di grandi promesse e speranze verso una cura efficace per questa malattia neurodegenerativa ereditaria che colpisce la sfera intellettiva, motoria e comportamentale, causando un progressivo declino delle condizioni generali di chi ne sia affetto. La causa della malattia di Huntingtion è stata chiarita una trentina di anni fa - grazie agli studi di Nancy Wexler - e consiste nell’espansione della tripletta CAG nel primo esone del gene che codifica per l’huntingtina, portando così alla sintesi di una forma aberrante della stessa, che si accumula formando pericolosi aggregati nel cervello.

AMT-130 sfrutta le proprietà di un vettore virale di tipo adeno-associato (AAV5) di infiltrare le cellule per introdurvi un micro-RNA, cioè una breve sequenza di RNA in grado di legarsi al corrispondente tratto dell’RNA messaggero dove sono allocate le informazioni “errate” per la sintesi dell’huntingtina. Il micro-RNA ha la funzione di “silenziare” tale informazione e, quindi, di bloccare la produzione della forma tossica della proteina. Dopo una iniziale fase promettente della sperimentazione clinica, in cui era stata testata positivamente la sicurezza del trattamento di UniQure su 10 pazienti, lo scorso anno erano giunte le prime asperità, con cattive notizie riguardanti l’effetto della terapia sull’abbassamento dei livelli di huntingtina: gli stessi ricercatori non riuscivano a darsi spiegazione sui motivi che producevano un anomalo rialzo dei valori nel gruppo dei pazienti trattati rispetto ai controlli.

Tuttavia, essi hanno continuato la raccolta dei dati clinici dai pazienti arruolati nei due studi clinici di Fase I/II. Il trial condotto negli Stati Uniti ha raccolto i dati su un totale di 26 pazienti (su 36 previsti) divisi in 3 gruppi: 6 partecipanti nel gruppo a basso dosaggio, 10 in quello ad alto dosaggio e gli altri inseriti nel groppo di controllo. I pazienti trattati hanno ricevuto una singola somministrazione di AMT-130 direttamente nello striato (caudato e putamen), la parte del cervello coinvolta nella genesi della malattia. L’infusione è avvenuta con un intervento di neurochirurgia stereotassica, sotto la guida della risonanza magnetica: grazie alle più avanzate tecniche strumentali è possibile stabilire con la massima precisione le coordinate dell’area del cervello da raggiungere per la somministrazione del farmaco. 

Lo studio europeo, sempre di Fase I/II, ha arruolato altri 13 pazienti (6 trattati con bassa dose e 7 con alta dose), tutti con manifestazione precoce di malattia. Analogamente e insieme a quello statunitense, il trial europeo aveva lo scopo di stabilire la fattibilità della strategia, nonché la sicurezza e la dose ottimale di AMT-130 nell’ottica dell’eventuale sviluppo di un trial di Fase III o di uno studio di conferma (nel caso in cui sia possibile un percorso di registrazione accelerato del nuovi farmaco). Una terza coorte, composta da un massimo di 12 pazienti, è attualmente in fase di arruolamento negli Stati Uniti e in Europa per esplorare gli effetti di entrambe le dosi di AMT-130 in combinazione con la terapia immunosoppressiva. 

Alla fine dello scorso mese di marzo i dati di 21 pazienti (12 trattati con bassa dose e 9 con alta dose) con un follow-up di 24 mesi erano disponibili per un’analisi preliminare. Gli statistici hanno confrontato tali dati con quelli di un gruppo di controllo esterno di 154 persone, ottenuto grazie alla collaborazione con la Cure Huntington’s Disease Initiative (CHDI) che ha messo a disposizione i dati degli studi di storia naturale TRACK-HD, TRACK-ON e PREDICT-HD. Nei pazienti che avevano ricevuto la dose elevata di AMT-130 è stato osservato un rallentamento dose-dipendente dell’80% nella progressione della malattia (misurata grazie all’utilizzo della scala di riferimento cUHDRS). Nei pazienti che avevano ricevuto il dosaggio più basso, invece, il rallentamento è stato calcolato in circa il 30%. Inoltre, nel liquido cerebrospinale dei pazienti trattati è stata osservata una riduzione statisticamente significativa dei livelli dei neurofilamenti a catena leggera (NfL), un biomarcatore fortemente associato alla gravità clinica della malattia di Huntington. Il trattamento è risultato ben tollerato, senza effetti avversi gravi per entrambe le dosi somministrate. 

“Questi risultati aggiornati sono entusiasmanti e forniscono prove convincenti di un potenziale beneficio terapeutico”, dichiara Victor Sung, professore di neurologia presso l’Università dell’Alabama a Birmingham (UAB) e direttore della Clinica per la Malattia di Huntington dell’UAB. “Preservare la funzione motoria e cognitiva per due anni, e insieme ridurre i livelli di NfL al di sotto del valore basale, costituisce una sfida alle aspettative sulla progressione naturale della malattia di Huntington. In particolare, i risultati restituiti dalla cUHDRS si sono confermati una misura robusta e sensibile del tasso di progressione della malattia e offrono l’opportunità di migliorare l’efficienza degli studi clinici rispetto ai saggi individuali. Questi dati a lungo termine forniscono un supporto incoraggiante per una modificazione duratura della malattia e danno speranza a una comunità che ha un disperato bisogno di soluzioni terapeutiche”.

Un risultato ragguardevole per AMT-130 che ha ottenuto dalla FDA la designazione di Regenerative Medicine Advanced Therapy (RMAT), la prima per la malattia di Huntington. Ora però occorre procedere con grande cautela: nella seconda metà del 2024 i vertici dell’azienda presenteranno questi dati alla Food and Drug Administration (FDA) per discutere i potenziali percorsi di sviluppo clinico e un’eventuale approvazione accelerata. Nel frattempo sarà completato l’arruolamento dei pazienti nella terza coorte degli studi di Fase I/II che prevede l’impiego di AMT-130 in combinazione con la terapia immunosoppressiva, e si stima che entro la metà del 2025 anche questi dati  di sicurezza saranno diffusi. Infine, sempre per il prossimo anno, sono attesi gli esiti di una seconda analisi ad interim sui dati dei pazienti a 36 mesi dal trattamento. 

Si avanza per piccoli passi perché l’unico modo per uscire vittoriosi da una palude è evitare movimenti bruschi.

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