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Un team di ricercatori ha utilizzato tecniche di base editing per modificare in situ i batteri intestinali - il nostro secondo genoma - raggiungendo un efficacia di oltre il 90%

La prima terapia basata su Crispr-Cas9 è stata approvata nel 2023, appena 11 anni dopo la scoperta del macchinario CRISPR come innovativo strumento di editing genomico, e molte altre sono già in sperimentazione. Eppure, una vasta porzione dei geni presenti nel corpo umano resta inaccessibile anche alle tecnologie più avanzate. Ad oggi non esiste un metodo efficace per modificare i genomi dei miliardi di batteri che abitano il nostro intestino, nonostante questi geni possano influenzare la salute, il sistema immunitario, il metabolismo dei farmaci e persino il comportamento. In uno studio pionieristico pubblicato su Nature, i ricercatori della biotech Eligo BioScience hanno modificato geneticamente i batteri direttamente nell'intestino dei topi, raggiungendo un'efficacia che supera il 90%.

IL SECONDO GENOMA

L’essere umano ha circa 23000 geni nel proprio DNA. I batteri che popolano il suo intestino, invece, ne hanno oltre 3 milioni: questo vuol dire che il 99% dei geni presenti nel corpo umano non sono affatto umani, ma di origine batterica. I ricercatori lo chiamano il “secondo genoma”, perché completa e arricchisce il nostro patrimonio genetico di funzioni che non saremmo in grado di espletare in sua assenza, come digerire alcune fibre alimentari, sviluppare il sistema immunitario o produrre nutrienti e vitamine essenziali.

I batteri intestinali possono avere un impatto anche sulla nostra salute, influenzando la progressione di alcune forme di cancro e malattie neurodegenerative o l’efficacia dell’immunoterapia. Le tossine batteriche possono provocare una vasta gamma di malattie acute e croniche e alcuni ceppi riescono a modificare o sequestrare i farmaci riducendo l’efficacia delle terapie.

L’EDITING DEL MICROBIOMA

Le piattaforme di editing genomico come Crispr-Cas9 sono state ampiamente adoperate sulla porzione umana del genoma, che però è pari “soltanto”  all’1% di tutti i geni. Solo di recente, i ricercatori stanno iniziando a capire come modificare il microbioma intestinale con l’aiuto di CRISPR. Uno degli obiettivi nel mirino della forbice molecolare, ad esempio, sono i super batteri resistenti agli antibiotici, che oggi uccidono 700 mila persone ogni anno e il cui numero è destinato ad aumentare. 

La sfida non è solo capire come trasferire il materiale genetico, ma anche come modificare il DNA dei batteri in situ, cioè direttamente nell’organismo. Normalmente, invece, i batteri vengono modificati in laboratorio e poi trasferiti nell’intestino: questo richiede la somministrazione di antibiotici mirati per eliminare la popolazione wild type, che possono causare gravi alterazioni dell’ambiente intestinale.  

FAGI ARMATI CON CRISPR

Per modificare il DNA microbico, si possono usare come vettori di materiale genico i batteriofagi o fagi, virus che infettano i batteri. Uno dei più comuni è il batteriofago lambda, che fa parte del gruppo dei fagi cosiddetti “temperati”, perché il loro DNA si integra nel cromosoma batterico e viene trasferito alle nuove generazioni senza determinare alcun danno per il batterio.

Vari studi hanno descritto l’uso di fagi lambda per trasferire il macchinario Crispr-Cas9 in cellule di Escherichia coli direttamente nell’intestino di topi da laboratorio. I risultati però sono stati modesti, perché hanno riguardato solo una piccola parte della popolazione bersaglio.

UN RISULTATO RECORD

I ricercatori di Eligo BioScience, un’azienda specializzata nell’editing del genoma in vivo, hanno migliorato la tecnica, raggiungendo una efficienza superiore al 90%. I ricercatori hanno usato una versione ingegnerizzata del fago lambda, in grado di legare con maggiore efficienza una più vasta gamma di proteine espresse sulla superficie di E. coli e raggiungere quindi quasi la totalità della popolazione bersaglio.

Il fago conteneva un editor di basi, ovvero una tecnica che combina la precisione del macchinario Crispr-Cas9 con particolari enzimi, le deaminasi, che possono modificare o sostituire singole basi all’interno del genoma. Questo approccio ha permesso ai ricercatori di modificare 8 geni bersaglio - per la maggior parte fattori di virulenza o geni coinvolti nella resistenza agli antibiotici - in 2 specie e 4 ceppi diversi tra le centinaia che popolano l’intestino umano. La percentuale di successo è stata sempre superiore al 90%, in alcuni casi ha raggiunto addirittura il 99,7%, e la modifica è rimasta stabile nell’intestino dei topi per almeno 42 giorni dopo il trattamento. 

Lo studio è destinato a cambiare – e ad ampliare – il panorama dell’editing genomico, come sottolineano le parole di Xavier Duportet, CEO di Eligo Bioscience, che commenta così lo storico risultato: “È davvero la prima volta che possiamo immaginare di creare terapie che possono inattivare con precisione i geni batterici che causano la malattia senza avere quasi nessun impatto sulla composizione e la funzione del microbioma. Questa strategia amplia il panorama degli obiettivi terapeutici indirizzabili nel campo dell'editing genetico”.

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