Il primo paziente, all’interno di un trial clinico condotto all’UCLH di Londra, ha ricevuto il vaccino sperimentale contro il carcinoma polmonare non a piccole cellule
Non è esagerato affermare che la storia dei vaccini a mRNA coincida con la parabola personale di Katalin Karikó, la ricercatrice ungherese che l’anno scorso ha condiviso col collega Drew Weissman il Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina. Ma se è altrettanto vero che è stata la pandemia da COVID-19 a “sbloccare” i finanziamenti per questo filone di ricerca, occorre precisare che l’impiego delle tecnologie a RNA va oltre le malattie infettive, per lanciare la sfida al cancro. Lo dimostra una recente notizia proveniente dal Regno Unito dove è stato somministrato il primo vaccino a mRNA, prodotto dall’aziende BioNTech, a un paziente affetto da carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), una delle più diffuse e pericolose forme di tumore.
In un articolo pubblicato su The Lancet Oncology si fa riferimento a uno studio clinico in svolgimento al NHS Foundation Trust presso lo University College London Hospitals (UCLH) di Londra per testare l’efficacia di BNT116, un vaccino sperimentale a mRNA sviluppato da BioNTech contro il carcinoma polmonare non a piccole cellule. Negli anni scorsi l’azienda di biotecnologie con sede a Mainz, in Germania, è assurta agli onori della cronaca per il suo impegno nello sviluppo e nella produzione di un vaccino a mRNA contro il virus SARS-CoV-2 e da allora ha un importante pipeline su questa nuova tecnologia. Il potenziale terapeutico dei vaccini basati sull’RNA ha portato ad interessanti studi anche nel settore oncologico: uno su tutti è relativo al melanoma, per cui è in valutazione un vaccino terapeutico che stimola i linfociti T a prendere di mira e uccidere le cellule cancerose.
Sulla stessa lunghezza d’onda viaggia anche BNT116: questo vaccino, infatti, sfrutta un RNA messaggero (mRNA) per portare all’attenzione delle cellule del sistema immunitario gli antigeni tumorali associati al tumore e, in questo modo, scatenare contro di esso una massiccia risposta immunitaria che uccida le cellule nemiche e ne prevenga il ritorno. Non si tratta, perciò, di uno strumento per evitare di ammalarsi del tumore bensì di una terapia progettata per stimolare in maniera mirata il sistema immunitario e metterlo nelle condizioni di opporsi alla proliferazione delle cellule tumorali, riducendo il rischio di tossicità per quelle sane. Rispetto alla chemioterapia, che non distingue tra cellule sane e malate, l’approccio dei vaccini a mRNA è di tipo immunoterapico e punta a restituire alle componenti del sistema immunitario il vantaggio perduto, consentendo loro di svolgere il compito che le caratterizza: eliminare gli intrusi e gli elementi ostili, siano essi batteri, virus o cellule cancerose impazzite.
“La scienza che ci ha trascinato fuori dal momento peggiore della crisi pandemica continua a mantenere le sue promesse nella messa a punto di potenziali trattamenti per i pazienti oncologici”, ha commentato sulla rivista scientifica The Lancet Michelle Mitchell, del Cancer Research UK. “Questa volta grazie a BioNTech che sta testando un vaccino per pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule in uno studio clinico di Fase I che, sebbene ancora in una fase molto precoce, ci rende ansiosi di scoprire che tipo di benefici porterà”. Lo studio è coordinato dal National Institute for Health and Care Research (NIHR) dell’UCLH e coinvolge 34 ospedali e istituti tra Regno Unito, Germania, Ungheria, Polonia, Spagna, Turchia e Stati Uniti; l’obiettivo primario è stabilire se BNT116 sia sicuro e ben tollerato dai pazienti. È prevista la partecipazione di 130 pazienti affetti da carcinoma polmonare non a piccole cellule a diversi stadi, da quelli iniziali, non ancora sottoposti a chirurgia o radioterapia, fino a quelli più avanzati o in recidiva. I ricercatori puntano a valutare il profilo di sicurezza del vaccino sia in monoterapia che in combinazione con i trattamenti chemioterapici o immunoterapici già consolidati.
La definizione di carcinoma polmonare non a piccole cellule include tre distinti tipi istologici (il carcinoma a cellule squamose, il carcinoma a grandi cellule e l’adenocarcinoma) e rappresenta la maggior parte delle diagnosi di tumore al polmone. In funzione dello stadio e dell’estensione di malattia il ventaglio terapeutico spazia dall’approccio chirurgico (quando possibile), all’utilizzo di farmaci chemioterapici o della radioterapia. Le terapie biologiche si basano sulla presenza di determinante alterazioni genetiche mentre l’immunoterapia ha riscosso maggior successo con l’entrata in scena degli anticorpi monoclonali capaci di legarsi in maniera specifica ai recettori PD-L1 o PD-1 - sono i cosiddetti inibitori dei checkpoint. “Il punto di forza dell’approccio che stiamo adottando è che il trattamento vuol essere altamente mirato alle cellule tumorali”, commenta la dottoressa Sarah Benafif, l’oncologo dell’UCLH a capo dello studio. “In tal modo speriamo di poter dimostrare che, col tempo, la terapia risulterà efficace contro il tumore al polmone, lasciando inalterati gli altri tessuti”.
Un egual entusiasmo è condiviso a tutti i livelli di ricerca dal momento che questo nuovo genere di vaccini potrebbe ritagliarsi un ruolo determinante nel futuro della lotta al cancro. Già in passato il Regno Unito aveva ambito a un ruolo di leader nella corsa a sviluppare nuovi trattamenti in campo oncologico (e non solo) ma il settore dei vaccini oncologici oggi è più che una promessa. Come confermato anche dagli studi sul melanoma - i risultati di un trial di Fase II sono apparsi sulle pagine di The Lancet - l’immunoterapia sta tagliando traguardi concreti e lo sforzo sostenuto dalla comunità scientifica per studiare i tumori e testare nuove terapie pensate per sfruttare il sistema immunitario contro le cellule del cancro promette di portare presto questi nuovi trattamenti dove più servono, cioè al letto del paziente.