Katalin Karikò, nonostante tutto, recensioni

Un emozionante racconto in prima persona della vita di Katalin Karikò, la scienziata che ha tracciato la strada verso i vaccini a mRNA e per cui è stata designata di un Premio Nobel 

La foto di copertina ci mostra una donna dagli occhi azzurri, con un sorriso appena abbozzato. Potrebbe essere una vicina di casa, la professoressa di italiano dei vostri figli o la fornaia che ogni giorno vi vende il pane. È questo uno dei pregi di Katalin Karikò: essere una persona semplice, che non brama l’agone mediatico e non cerca la notorietà a tutti i costi ma è capace di trasmettere l’orgoglio per quello che fa ogni giorno. Pur avendo tantissime cose da dire la pioniera dei vaccini a mRNA - e Premio Nobel insieme al suo collega Drew Weissman - ha sempre scelto di far precedere alle parole i risultati dei suoi studi e soltanto nella sua autobiografia, “Nonostante tutto - La mia vita nella scienza” (Bollati Boringhieri, 2024), ha deciso di raccontare come e perché ha dedicato la sua intera vita al lavoro di ogni giorno: la ricerca scientifica. Nonostante tutto.

Con la pandemia da COVID-19 il tema dei vaccini a mRNA ha preso a circolare ampiamente, finendo sulla bocca di tanta gente - anche di quanti hanno preteso di discuterne senza capire veramente di cosa si trattasse - ma le ricerche sull’mRNA hanno avuto inizio molti anni prima. E a quel tempo nessuno ci credeva. Katalin Karikò ha dovuto lottare per non veder naufragare la sua ricerca, tutto ciò in cui credeva. Lei, figlia di un macellaio ungherese, cresciuta in un contesto di limitazioni e povertà, abituata a non cercare nulla più del necessario nella sua vita - la sua famiglia viveva in una casa con un’unica stanza, dove arrivava a stento un po’ di elettricità - ha imparato ad apprezzare la biologia, guardando i fiori dei prati dove andava a passeggiare e rincorrendo i polli che suo padre macellava e cucinava per dare sostentamento alla famiglia. La prima lezione di Katalin fu che il lavoro e il gioco possono fondersi uno nell’altro.

Il regime comunista, al tempo instauratosi in Ungheria, aveva preso di mira suo padre, ostracizzandolo e rendendogli ancora più difficoltoso provvedere alla sopravvivenza della moglie e delle figlie, ma questo non ha impedito a Katalin di andare a scuola e studiare. Fin da ragazza ha capito che non bisogna lavorare per il compiacimento o per ottenere l’approvazione altrui ma per se stessi, per raggiungere i propri obiettivi. E quando le cose vanno male non bisogna cercare il modo per addossare le colpe ad altri, ma impegnarsi di più, essere creativi e superare l’ostacolo. Con questo atteggiamento ha sfidato in silenzio tutti quelli che si mettevano di traverso tra lei e il suo traguardo: diventare una scienziata.

Ha sempre studiato tanto Katalin Karikò, letto un milione di articoli scientifici, più e meno recenti. Lei stessa ammette di non essere stata la migliore del suo corso ma era di certo colei che ci credeva di più e studiava, notte e giorno, assimilando tutto quello che poteva. Costretta a emigrare per sottrarsi alle limitazioni del regime, ha ricominciato daccapo nel Paese del sogno americano, per scoprire che dietro la patina di democrazia degli Stati Uniti si nasconde un meccanismo feroce di selezione. Robert Suhadolnik, un biochimico esperto di analoghi nucleosidici, l’ha accolta alla Temple University dopo esser stata cacciata dal Centro di Ricerca Biologica in Ungheria per poi mostrare la sua faccia peggiore, giungendo a minacciarla di espulsione dal Paese se avesse cercato un impiego al di fuori del suo laboratorio. Katalin non si è fatta intimidire e, pur continuando a lavorare alacremente, ha continuato a inviare curricula ai maggiori poli accademici statunitensi: nottate insonni a rivedere lettere di presentazione, tra un articolo scientifico e l’altro, e lunghe giornate in laboratorio a ripetere gli esperimenti.

A metà del suo racconto ci dice proprio questo: “un esperimento individuale non è di per sé ricerca. Nella scienza l’obiettivo ultimo è formulare e verificare ipotesi; per fare questo non bastano i risultati di un singolo esperimento: ne servono a iosa”. Cambiando ogni volta una piccola variabile, Katalin Karikò ha perfezionato la sua ricerca, inseguendo il dettaglio - come il personaggio interpretato da Peter Falk nella serie tv l’ispettore Colombo che guardava da piccola in Ungheria - correggendo le proprie previsioni sulla base dei dati. Aggiornando le sue competenze per migliorare le ipotesi e rifacendo gli esperimenti ancora e ancora. 

È così che è nata la tecnologia dell’mRNA. Non per caso o dal nulla, ma dal sudore e dalla fatica, dall’impegno e dalla caparbia di una donna che non ha mai fatto un passo indietro. Neppure quando all’Università della Pennsylvania l’hanno declassata di ruolo e le hanno fatto trovare le sue cose in un corridoio, già impacchettate negli scatoloni, perché lo spazio del suo laboratorio doveva essere assegnato ad altri filoni di ricerca “finanziati”. Negli Stati Uniti i dipartimenti erogano risorse ai progetti finanziati, dollari per metratura netta. La ricerca è fortemente orientata alla registrazione di brevetti che si devono tradurre in applicazione cliniche, pratiche. Non è un concetto di per sé errato ma ogni tanto bisognerebbe chiedersi che cosa potrebbe sfuggire a questo ingranaggio.

E se Katalin Karikò non avesse incontrato Drew Weissman - l’immunologo con cui ha condiviso la sua ricerca e, nel 2023, il Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina - davanti a una fotocopiatrice e non gli avesse parlato dei suoi progressi con l’mRNA? E se non ci fosse stata una pandemia nel 2020? La BioNTech - l’azienda di cui Katalin è arrivata a diventare vicepresidente - ha stravolto i propri piani e ha dirottato tutte le risorse nella ricerca di un vaccino contro il virus Sars-CoV-2. Ma la tecnologia dell’mRNA non è legata unicamente al COVID: quando Weissman incontrò Karikò, alla fine degli anni ’90, stava già lavorando alla messa a punto di un vaccino per l’HIV e insieme esplorarono le possibilità di svilupparne uno basato sull’mRNA, incontrando però tutta una serie di ostacoli di natura scientifica e finanziaria. Oggi, dopo un quarto di secolo, i primi vaccini a mRNA per l’HIV sono entrati nelle prime fasi di sperimentazione clinica (ne abbiamo parlato qui) e si sta ragionando su vaccini a mRNA contro l’influenza, per contrastare malattie croniche come l’ipercolesterolemia oppure il cancro. Poter sfruttare le proprietà dell’mRNA per combattere certi tipi di tumore - come il melanoma o il glioblastoma - significa istruire il sistema immunitario a rispondere a una situazione che sembrava sfuggita al suo controllo.

Le applicazioni di questa tecnologia sono ampie e promettenti e se possiamo sfruttarne le potenzialità lo dobbiamo essenzialmente alla tenacia di una donna ungherese, venuta da un modesto villaggio di periferia e che, con enormi sforzi, si è spinta oltre difficoltà politiche, economiche, sociali e culturali grazie al pulsante desiderio di apprendere. Non c’è retorica nell’autobiografia di Katalin Karikò e, per fortuna, non compare neanche una volta la parola “resilienza” - così inflazionata e ridicola, specie se usata in certi contesti - traspare solo l’importanza di tenere viva la cultura, essere curiosi, farsi domande, aggiornarsi sempre ed essere creativi. E, soprattutto, lavorare sodo e non mollare mai. Un libro che dovrebbero leggere tutti i ragazzi perché, a prescindere dall’ambito di lavoro a cui si rivolgeranno, questi insegnamenti sono quelli di cui hanno più bisogno le nuove generazioni. E servono esempi pratici per ricordarli.

Con il contributo incondizionato di

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