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Gli studi preclinici hanno dimostrato che la somministrazione di “aggregati” di mRNA raggiunge gli organi bersaglio inducendo una potente risposta immunitaria 

La tecnologia a RNA sta vivendo un momento d’oro grazie all’arrivo sul mercato di terapie basate sugli oligonucleotidi antisenso (ASO), come quelli per l’atrofia muscolare spinale (SMA), e allo sviluppo dei vaccini a mRNA per il COVID, valsi a Katalin Karikó e Drew Weissman il Premio Nobel per la Medicina 2023. Ma fino a qualche anno fa, le terapie su RNA erano ancora considerate l’underdog del settore, dal momento che - secondo le affermazioni della stessa Karikó nella sua autobiografia - l’mRNA è una matrice particolarmente instabile, che necessita di strutture e condizioni di lavoro complesse e costose. Eppure la situazione pare radicalmente cambiata tanto che si parla di vaccini a mRNA contro tumori, come il glioblastoma, da cui gli attuali protocolli terapeutici offrono ben poche prospettive di guarigione.

GLIOBLASTOMA E TERAPIE AVANZATE

In un recente articolo pubblicato sulla rivista Cell, un team statunitense ha riportato i primi risultati relativi agli effetti di un vaccino a mRNA capace di riprogrammare il sistema immunitario e metterlo nelle condizioni di sferrare un attacco mirato alle cellule di glioblastoma.

Contro questo raro ma aggressivo tumore esistono ben pochi farmaci, al di fuori dei chemioterapici e dell’approccio con la radioterapia, sebbene di recente siano stati pubblicati alcuni articoli scientifici nei quali si descrive la possibilità di ricorrere a specifiche terapie a base di cellule CAR-T per aggredire certe forme di tumore. Al momento è dunque prioritario disporre di modelli accurati per comprenderne i punti deboli e sviluppare trattamenti mirati. Magari con l’aiuto delle stesse armi del sistema immunitario.

EDUCARE IL SISTEMA IMMUNITARIO

Secondo il pensiero di sir Frank MacFarlane Burnet, Premio Nobel per la Medicina nel 1960, le cellule cancerose sono in grado di suscitare una risposta immunitaria impegnando i linfociti in un processo che, andando verso l’equilibrio, porta le cellule tumorali ad elaborare meccanismi di resistenza che, in una fase successiva, permettono al tumore di “portarsi in vantaggio” e sfuggire al controllo del sistema immunitario, continuando così a proliferare e danneggiare l’organismo. L’ingegnerizzazione dei linfociti T a cui si assiste nel caso delle CAR-T ha la funzione di restituire il vantaggio ai linfociti T ma ci sono altre strade per “istruire” il sistema immunitario a riconoscere e classificare come estranee le cellule tumorali.

Una di queste è data dai vaccini a mRNA in cui un frammento di mRNA necessario per la sintesi di una specifica proteina è inglobato in una “nanogoccia” lipidica e introdotto nelle cellule dove la produzione della proteina ha inizio. Tale approccio ha avuto un enorme successo con i vaccini per il virus SARS-CoV-2 ed è attualmente in fase di studio per alcuni tumori tra cui il melanoma (ne abbiamo parlato qui e qui). La prima difficoltà in questo settore nasce dal fatto che certi antigeni tumorali sono espressi anche dai tessuti sani e la loro stessa esistenza si intreccia con le informazioni a disposizione del sistema immunitario, di conseguenza non è immediata l’idea di quale sia il bersaglio da colpire. Tuttavia, diversi gruppi di ricerca - tra cui quello dell’azienda BioNTech, che ha sviluppato uno dei vaccini a mRNA per il COVID - hanno lavorato alla produzione di nanoparticelle con RNA da introdurre nelle cellule dendritiche o in grado di suscitare una risposta da parte dei linfociti T. Nei modelli preclinici questi vaccini a mRNA hanno ottenuto  buoni risultati, specie in combinazione con altre molecole, quali gli inibitori dei checkpoint immunitari (ICIs) o la chemioterapia. Tuttavia, alcuni degli ostacoli che devono ancora essere superati sono relativi all’azione immunosoppressiva esercitata dal microambiente tumorale e alle capacità di carico dell’mRNA che hanno le particelle lipidiche

UN MODELLO “A CIPOLLA”

Il team di ricerca dell’Università della Florida (UF) ha adottato una brillante soluzione, sfruttando un elaborato meccanismo di consegna delle particelle lipidiche. “Invece di iniettare particelle singole, stiamo somministrando aggregati di particelle che si avvolgono l’una sull’altra come gli strati delle cipolle”, spiega alla rivista GEN - Genetic Engineering & Biotechnology News Elias Sayour, oncologo pediatrico e professore al Dipartimento di Neurochirurgia dell’UF College of Medicine. “Il motivo di questa scelta è che, nel contesto del cancro, questi aggregati allertano il sistema immunitario in modo molto più profondo di quanto farebbero le particelle singole”. Questo vaccino si avvale dunque di un cosiddetto sistema multistrato (RNA-LPA) di particelle lipidiche che funzionano contemporaneamente come vaccino e come agente immunomodulante.

Per anni gli scienziati californiani hanno messo alla prova tale soluzione, testandola in vari contesti preclinici, prima sui topi e poi sui cani i quali, rappresentano un modello ideale poiché sviluppano abbastanza frequentemente il glioblastoma. I risultati raccolti dal trattamento di 10 cani sono stati strabilianti, essendo riusciti ad allungare la sopravvivenza degli animali e, soprattutto, a riprogrammare il microambiente tumorale. Ciò significa che il tumore passa da “freddo” (cioè poco attivo sul piano immunitario) a “caldo”, dando così modo alle cellule immunitarie di esercitare le loro funzioni. Il tutto in un arco di 48 ore dalla somministrazione.

Sulla base di questi presupposti Sayour e il suo team hanno avanzato alla Food & Drug Administration (FDA) la richiesta di avvio di un piccolo studio clinico allo scopo di valutare la fattibilità, la sicurezza e l’attività del sistema “RNA-LPA” su quattro pazienti affetti da glioblastoma multiforme con il promotore MGMT non metilato e refrattario ai trattamenti. I vaccini sono stati costruiti in maniera specifica a partire dalle cellule estratte dai tumori dei quattro individui coinvolti e l’mRNA è stato caricato sul sistema RNA-LPA per essere iniettato in circolo e provocare la risposta del sistema immunitario.

RISULTATI PROMETTENTI

La risposta non è mancata dal momento che in tutti gli individui trattati è stato osservato un rapido incremento delle chemochine e delle citochine pro-infiammatorie. Inoltre, i ricercatori statunitensi hanno notato un intenso traffico immunitario accompagnato da attivazione dei linfociti T, a conferma della rapida e significativa risposta suscitata dalle dosi di vaccino. I prossimi passaggi consisteranno nell’approfondire la sicurezza di questi vaccini, cercando le giuste dosi di somministrazione e ottimizzando la posologia in forza del raggiungimento della miglior curva di efficacia. Inoltre, occorrerà capire come conciliarli con gli altri approcci di trattamento del tumore.

In base alle osservazioni degli stessi autori, il sistema RNA-LPA determina una rapida  e massiccia mobilitazione dei sistemi dell’immunità innata, richiamando le cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC) nei siti di localizzazione delle particelle che polarizzano l’immunità adattativa contro gli antigeni associati al tumore: un punto fondamentale per vincere i meccanismi di immunosoppressione del tumore. Per consolidare questi risultati sarà necessario avviare uno studio clinico di Fase I su una più estesa casistica di pazienti, sia adulti che pediatrici, poi se la sicurezza e la dose ottimale saranno confermate si potrà procedere con la Fase II.

Quella dei vaccini a mRNA si prefigura essere l’alba di una nuova era nel trattamento dei tumori e, soprattutto, potrebbe costituire un approccio flessibile e non invasivo - sono sufficienti una o più somministrazione endovenose - in grado di integrarsi con altri sistemi di cura, rinsaldando gli attuali protocolli terapeutici e aprendo nuovi scenari con concrete prospettive di guarigione per i malati. 

Con il contributo incondizionato di

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