RNA therapies, ASO, SLA

Tofersen è stato approvato per il trattamento di pazienti adulti affetti da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) con mutazioni del gene SOD1 

Finalmente delle buone notizie per la sclerosi laterale amiotrofica (SLA): pochi giorni fa la Commissione Europea (CE) ha concesso l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio per tofersen (nome commerciale Qalsody), l’oligonucleotide antisenso sviluppato da Biogen per il trattamento di individui adulti affetti da forme di SLA associate a mutazione del gene SuperOssido Dismutasi 1 (SOD1). Oltre ad essere una vittoria per la comunità di pazienti affetti da SLA, anche se va ricordato che il farmaco è indicato solo per una parte della popolazione SLA, si tratta dell’ennesimo segnale di crescita del settore delle terapie su RNA le quali, ben prima dell’avvento degli ormai famosi vaccini a mRNA, avevano consentito sostanziali balzi avanti nella presa in carico di persone affette da altre malattie rare, come l’atrofia muscolare spinale (SMA).

Circa un anno fa tofersen era stato approvato con procedura accelerata dalla Food and Drug Administration (FDA) per il trattamento dei pazienti SLA-SOD1, sulla base dei buoni risultati ottenuti negli studi clinici che hanno dimostrato che il farmaco è in grado di ridurre i livelli dei neurofilamenti a catena leggera (NfL), considerati un biomarcatore surrogato di progressione della malattia. “Dopo un anno e mezzo di trattamento con tofersen è stato possibile osservare come i pazienti portatori di questa mutazione presentassero un rallentamento, e in qualche caso un lieve miglioramento, dei sintomi associati alla patologia”, aveva dichiarato il prof. Adriano Chiò, Direttore del Centro Regionale per la SLA presso l’Ospedale Molinette della Città della Salute di Torino alla presentazione dei dati clinici, nell’autunno del 2022. “Un risultato ancora più significativo se si tiene presente che i pazienti nello studio erano pazienti SOD affetti dalla variante cosiddetta rapida, più aggressiva”.

Come riportato anche nel “Manifesto sui bisogni clinici insoddisfatti dei pazienti con SLA”, realizzato da Osservatorio Malattie Rare (e liberamente scaricabile qui) in collaborazione con i neurologi e le principali Associazioni di pazienti, una priorità per i malati e i loro famigliari consiste nell’individuare nuove forme di trattamento che, se non ad arrestare, riescano almeno a rallentare il decorso della malattia. A questo proposito la SLA è oggetto di molteplici studi clinici - diverse delle quali coinvolgono anche le terapie avanzate. Le terapie che prendono di mira l’RNA hanno mostrato di possedere caratteristiche di adattabilità tali da poter esser impiegate con successo in più campi della medicina e la lotta alla SLA è uno di essi. Tofersen, infatti, è un oligonucleotide antisenso (ASO) progettato per legarsi a uno specifico segmento di mRNA e ridurre così la produzione della proteina SOD1. 

L’autorizzazione alla commercializzazione è stata concessa in circostanze eccezionali, raccomandata quando la valutazione beneficio-rischio di un trattamento è giudicata positiva ma, a causa della rarità della malattia, è improbabile che si possano ottenere dati completi nelle condizioni normali di utilizzo. L’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha anche raccomandato che sia mantenuta la designazione di tofersen come medicinale orfano.

“L’approvazione di tofersen rappresenta un cambiamento di paradigma nel trattamento della SLA-SOD1, offrendo speranza ai pazienti e ai loro cari che hanno atteso a lungo una svolta”, afferma Philip Van Damme, professore di neurologia e direttore del Centro di Riferimento Neuromuscolare presso l’University Hospital Leuven in Belgio. “L’Accademia Europea di Neurologia ha confermato le nuove linee guida terapeutiche per la SLA che riconoscono tofersen come trattamento di prima linea per questi pazienti”. Va, precisato, infatti, che i pazienti con la mutazione nel gene SOD1 rappresentano solo una piccola percentuale (approssimativamente 2-3% delle persone con SLA, in Italia circa 150 in tutto) di tutti coloro che sono malati di SLA ma i buoni risultati ottenuti dal farmaco testimoniano come proprio dalla comprensione dei meccanismi patologici della malattia possano giungere soluzioni efficaci e sicure. L’approvazione di tofersen si basa su tutte le evidenze scientifiche, tra cui il meccanismo d’azione mirato, i biomarcatori e i dati clinici dello studio di Fase III VALOR in cui sono stati osservati miglioramenti nella scala ALSFRS-R e una riduzione del 55% nella concentrazione plasmatica media dei neurofilamenti a catena leggera (NfL) dopo 28 settimane di trattamento.

La conferma dei solidi risultati raggiunti è arrivata anche da uno studio clinico italiano che ha analizzato il più alto numero di persone con SLA con mutazione SOD1 per il più lungo periodo di tempo. Infatti, per un periodo di almeno un anno dopo la somministrazione iniziale di tofersen, i Centri NeMO di Roma, Milano, Brescia, Trento e Ancona hanno raccolto e analizzato i dati di 17 pazienti, cioè di una parte dei 27 che hanno avuto la possibilità di accedere al farmaco a partire dal 2021 attraverso il programma di accesso anticipato. A questo periodo, si sono aggiunti 12 mesi di monitoraggio clinico antecedenti l’arrivo del farmaco, per un totale di circa 2 anni di valutazione. Proprio la numerosità del campione ed il lungo periodo di osservazione clinica sono da considerarsi estremamente significativi, data la rarità di questa specifica mutazione e la complessità stessa della malattia nel suo decorso clinico.

“Il valore dei risultati raggiunti è dato dalla possibilità di confrontare i dati clinici dello studio, con i medesimi dati raccolti nella pratica clinica quotidiana nel periodo precedente l’assunzione del farmaco sperimentale”, dichiara Federica Cerri, neurologa e referente dell’area SLA del Centro NeMO di Milano. “Questa continuità nella presa in carico della persona, infatti, permette di condurre un’analisi dettagliata della storia di malattia, tracciando chiaramente due traiettorie del suo andamento, ossia prima e dopo il trattamento con tofersen”.

I risultati dello studio, appena pubblicati sulla rivista Journal of Neurology, mostrano una stabilizzazione o addirittura un lieve miglioramento clinico per un significativo numero di pazienti coinvolti (il 53% del gruppo di studio). Ciascun paziente è stato monitorato ogni 12 settimane con le scale di valutazione clinica standardizzate (ALSFRS-R, FVC, MRC) per verificare la funzionalità generale, la capacità respiratoria e la forza muscolare negli arti.  Inoltre, la ricerca ha dimostrato che il farmaco ha un effetto positivo sul piano biologico nel processo di degenerazione dei motoneuroni, come confermato dalla significativa riduzione del dosaggio dei neurofilamenti, proteine indicatrici di tale processo. Nello studio si è osservata una marcata riduzione di questi neurofilamenti nell’82% dei pazienti, a conferma dell’impatto positivo sulla malattia di tofersen in almeno un sottogruppo di pazienti.

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