Stefania Corti

Se per le forme genetiche le prime terapie sono in fase clinica, si stanno compiendo progressi anche per quelle sporadiche. Ce ne parla la prof.ssa Stefania Corti del Centro Dino Ferrari di Milano.

La ricerca per trovare una cura alla sclerosi laterale amiotrofica (SLA), percorre sempre più le strade delle terapie avanzate, passando soprattutto per le terapie su RNA e le terapie geniche. Il successo degli oligonucleotidi antisenso (ASO), prima terapia approvata per un’altra malattia del motoneurone, l’atrofia muscolare spinale (SMA) e della terapia genica, arrivata in Europa sempre per la SMA, proprio lo scorso maggio, rafforzano l’idea che questa sia la strada giusta anche per le forme genetiche di SLA. Nel frattempo si stanno portando avanti altri approcci anche per le altre forme di SLA, quelle sporadiche, come conferma un lavoro finanziato da AriSLA e pubblicato lo scorso aprile su Progress in Neurobiology. Una notizia in più con cui è stato festeggiato il 21 giugno, la Giornata Mondiale sulla SLA.

Dalle forme genetiche alle sporadiche
La SLA è una malattia che porta ad una degenerazione dei motoneuroni, i neuroni che sono responsabili del movimento. Il 5-10% delle forme di questa patologia è dovuta a una mutazione genetica ed è proprio per questo gruppo di persone che si stanno portando avanti terapie - ASO e terapia genica - che hanno come target uno o più geni. Ma il restante 90% dei casi, le cosiddette forme sporadiche, è dovuto a una causa ancora sconosciuta per cui è più difficile trovare una soluzione. Proprio per queste forme, che rappresentano la stragrande maggioranza dei casi, sono nati due progetti di ricerca “smallRNALS” e “mirALS condotti dai ricercatori dei gruppi guidati da Silvia Barabino dell’Università Bicocca di Milano e da Stefania Corti - del Centro Dino Ferrari, Università degli Studi di Milano, IRCCS Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico - che hanno identificato uno specifico microRNA (miRNA) come possibile bersaglio terapeutico per la SLA. “Uno dei nostri studi aveva come obiettivo la progettazione di oligonucleotidi antisenso (cioè una sequenza a singolo filamento di DNA e in alcuni casi di RNA, complementare a una sequenza a cui si lega impedendo che ne vengano lette le istruzioni che in genere portano alla produzione di proteine o RNA ndr), contro un aspetto molecolare che abbiamo identificato come alterato in entrambe le forme di SLA”, spiega Stefania Corti. “In particolare, abbiamo trovato un miRNA (miR-129-5p) che non ha una funzione codificante ma di modulazione dell’espressione genica, ruolo fondamentale in quasi tutti i processi biologici”.

Il miRNA bersaglio
Come racconta Corti, il miRNA identificato dai ricercatori è risultato essere “up-regolato” (era cioè prodotto o espresso in una quantità maggiore rispetto al solito), sia in diversi modelli animali per la forma genetica di SLA, sia nelle cellule del sangue di pazienti con SLA sporadica. L’incremento di questo miRNA è, a sua volta, responsabile della riduzione di una proteina che si trova nei neuroni, dove regola la crescita e il differenziamento dei neuriti, i prolungamenti delle cellule nervose.
Prendere di mira il miRNA, riducendone la produzione e riportandolo a valori nella norma, potrebbe dunque essere una soluzione, perché in questo modo si manterrebbe il normale funzionamento del neurone. Per questo i ricercatori hanno creato un oligonucleotide antisenso che, interferendo con la sintesi del miRNA in questione, riuscisse a ridurne la quantità. Nel lavoro pubblicato su Progress in Neurobiology i ricercatori – tra cui Corti e Barabino – spiegano di aver dimostrato che la somministrazione di un ASO di miR-129-5p in un modello animale di SLA genetica (topi SOD1), determina un aumento significativo della sopravvivenza e migliora le capacità motorie dei topi.

Dalla preclinica alla clinica
La strada verso una vera e propria terapia, però, è ancora lunga, come conferma anche Corti: “Anche se i risultati ottenuti con gli studi preclinici in vitro e in vivo sono validi, per poter dire che questa strategia può essere applicata anche negli esseri umani servono ulteriori esperimenti. Il prossimo passo ora sarà aumentare il numero di modelli preclinici su cui testare l’ASO, in modo da confermarne l’efficacia e dimostrare che vale la pena sperimentarlo sugli esseri umani”. La SLA, infatti, è una malattia troppo complessa per poter essere rappresentata da un unico modello animale. Finora l’ASO è stato testato su modelli di animali che hanno una forma genetica di SLA collegata al gene SOD1, ma ci sono altre forme legate al gene C9ORF72 e quelle sporadiche per cui non esiste un modello animale che le rappresenti completamente, sebbene ci vada molto vicino. Motivo per cui i ricercatori hanno ora in programma di testare il nuovo approccio in questi diversi modelli animali per poi, se tutto dovesse andare come sperano, passare alla fase clinica.

Usare i “super-geni”
Un altro approccio testato in un altro studio dal gruppo milanese, sempre per le forme sporadiche, si basa invece sullo sfruttare i geni che sembrano resistenti alla SLA. “I motoneuroni responsabili del movimento degli occhi sono resistenti alla malattia”, precisa Corti. “Perciò abbiamo cercato di individuare quali fossero i geni espressi solo da questi motoneuroni in modo da farli esprimere anche dagli altri motoneuroni vulnerabili. Uno di questi geni è Synaptotagmin 13 (SYT13). Aumentandone l’espressione si osserva un miglioramento delle caratteristiche della malattia, sia nelle cellule dei pazienti che nei modelli animali di SLA e SMA”. I risultati di questo lavoro sui “super-geni” sono stati pubblicati su Acta Neuropathologica lo scorso febbraio.

Gli altri approcci contro la SLA
Oltre alle terapie in sperimentazione raccontate dalla professoressa Corti, ce ne sono altre, come già ricordato, in fase di ricerca più avanzate, ma idonee solo per le forme genetiche. Come Tofersen, farmaco sviluppato da Biogen e Ionis Pharmaceuticals, che si basa su un ASO in grado di silenziare o spegnere il gene SOD1, che in questo modo non produrrà la proteina tossica che causa la SLA. La mutazione del gene SOD1 infatti, causa un errato ripiegamento delle proteine, che si accumulano come aggregati proteici e diventano tossiche per i motoneuroni. Il principio è ridurre l'espressione mutata di SOD1 al di sotto di un livello tossico, mantenendo allo stesso tempo un livello fisiologico di SOD1 “normale”. Il farmaco è stato testato in uno studio clinico di Fase I/II mostrando una riduzione dei livelli di proteine SOD1 e una tendenza al rallentamento del declino clinico nelle persone trattate. I risultati dei trial hanno anche confermato che la somministrazione intratecale (nel liquido cerebrospinale) di ASO è ben tollerata senza eventi avversi gravi. Nel maggio del 2019, è stato inoltre annunciato l’avvio dello studio di Fase III - in 21 centri clinici tra Stati Uniti, Canada, Giappone ed Europa (l’Italia non è inclusa) - per testare l’efficacia e la sicurezza del farmaco. Analogamente è stato sviluppato un altro ASO, il cui bersaglio è però il gene C9orf72. Anche questo è in studio sull’uomo: dopo gli studi preclinici, Biogen ha avviato un trial di Fase I - negli Stati Uniti, Canada, Olanda e Gran Bretagna - per testare questo trattamento sempre per via intratecale. Infine vi è la terapia genica, ancora in una fase di studio preclinico, che utilizza vettori virali adeno-associati (AAV) per veicolare oligonucleotidi antisenso in grado di silenziare il gene SOD1 tramite un meccanismo che agisce a monte, ancora prima che si formi l’RNA messaggero. “In questo caso – aggiunge Corti – i vettori trasportano molecole artificiali di RNA dette short hairpin RNA (shRNA), che inibiscono il mRNA e silenziano il gene SOD1. Il vantaggio rispetto agli ASO è che si tratta di una terapia che si esegue una sola volta nella vita, ma di contro è irreversibile”.

Sostenere la ricerca
Il lavoro svolto da Corti e colleghi rientra tra i 78 progetti supportati finora con 12,4 milioni di euro dalla Fondazione AriSLA (Fondazione Italiana di ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica), in questi anni. Proprio a fine aprile la Fondazione ha pubblicato il tredicesimo bando per finanziare la ricerca scientifica sulla SLA in Italia. “Fondi essenziali”, conclude Corti. “Anche in questo momento di difficoltà per l’emergenza COVID-19 è importante che vengano mantenuti i fondi anche per le malattie più rare. Anche perché le innovazioni che vengono fatte in questo campo potrebbero poi essere usate anche per malattie più comuni, come Alzheimer o altre malattie neurodegenerative”. In aggiunta il Presidente di Fondazione AriSLA, Mario Melazzini ha riferito: “Anche quest’anno aderiamo alla Giornata Mondiale sulla SLA che nel contesto attuale, segnato dalla pandemia COVID-19, assume ancora più valore.  In questi mesi, infatti, sono emerse la fragilità delle persone che convivono con la malattia e allo stesso tempo l’importanza di sostenere la ricerca scientifica per dare loro risposte concrete sul fronte terapeutico. Noi di Fondazione AriSLA non ci siamo mai fermati proprio per garantire continuità a chi fa ricerca. Ad aprile abbiamo pubblicato il Bando AriSLA 2020 con l’obiettivo di finanziare ricerca di base, preclinica e clinica osservazionale. Aperto ad aprile, si è chiuso pochi giorni fa: più di 100 le candidature raccolte a testimonianza della vivacità della comunità scientifica italiana e della volontà di mettersi in gioco per vincere una battaglia comune: sconfiggere la SLA. In autunno contiamo di annunciare i vincitori che supereranno l’attento processo di selezione in ‘peer-review’, che individua le proposte più innovative e di qualità, che puntano a migliorare la vita delle persone, quali principali destinatari degli studi ad oggi finanziati”. Un mondo senza SLA è possibile, ha detto in conclusione Melazzini, convinto che la speranza rappresenti un reale strumento per il lavoro quotidiano dei ricercatori e per la quotidianità di tutti.

 

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