L’Innovative Genomics Institute, fondato da Jennifer Doudna, ha fatto il punto su tutti i trattamenti a base di editing in corso di sperimentazione nel mondo per malattie genetiche e non solo
La recente approvazione del Casgevy rappresenta il primo successo ufficiale delle terapie basate sull’editing genetico. Il trattamento per anemia falciforme e talassemia è arrivato a tempo di record, appena 11 anni dopo l’invenzione di CRISPR. “Due malattie in meno. Ne restano cinquemila”, ha commentato Fyodor Urnov, che all’Innovative Genomics Institute (IGI) si occupa di tecnologia e traslazione. Ma fra tante patologie in attesa di una cura, quali saranno le prossime a beneficiare di CRISPR? A che ritmo possiamo aspettarci che arrivino i nuovi trattamenti? Per orientarsi tra annunci e pubblicazioni, coltivando le speranze senza cadere nel sensazionalismo, è utile il periodico aggiornamento curato dall’istituto californiano.
Il bilancio è decisamente positivo, ma non manca qualche delusione. Le biotecnologie stanno attirando meno capitali di ventura e gli investitori appaiono più interessati a cogliere i frutti dei progetti di ricerca già ben avviati che a seminare nuove opportunità. La tendenza è di abbandonare i filoni di ricerca più acerbi e meno profittevoli, per concentrarsi sui prodotti in fase avanzata di sperimentazione. Di conseguenza le pipeline vedono poche new entry rispetto al 2023, e nell’elenco delle patologie prese di mira riesce a farsi spazio una sola nuova categoria: le malattie autoimmuni. Ma su questo torneremo in seguito, meglio procedere con ordine seguendo lo schema della figura riportata nell'articolo dell'Innovative Genomics.
L’area più affollata resta quella delle malattie del sangue causate da difetti nell’emoglobina, ovvero anemia falciforme e talassemia. Molti infatti sono convinti che, dopo l’autorizzazione del Casgevy, ci sia ancora ampio spazio per innovazioni utili. Per andare di bene in meglio, servirebbero trattamenti di prossima generazione, più semplici da produrre e somministrare, se non con una pillola, almeno con un’iniezione nel corpo, senza che ci sia bisogno di estrarre le cellule e poi reinfonderle. L’obiettivo è rendere il trattamento più leggero da sopportare per i pazienti e meno oneroso da rimborsare per assicurazioni e sistemi sanitari. Ma, nel frattempo, altri prodotti di prima generazione proveranno a sfidare Casgevy. Tra quelli già in corso di sperimentazione continua a dare buoni risultati il trattamento per le emoglobinopatie sviluppato da Editas Medicine, che usa le forbici molecolari Cas12a, invece delle classiche Cas9, per sbloccare la produzione di emoglobina fetale, normalmente repressa negli adulti. È in fase meno avanzata Beam Therapeutics che punta allo stesso bersaglio ma usa un correttore di basi al posto delle forbici (la prima somministrazione è stata annunciata a gennaio e i primi dati arriveranno entro l’anno). Un consorzio dell’Università della California rappresenta l’unico soggetto non-profit che si prepara a entrare in gioco, probabilmente a inizio 2025, con un approccio che aspira a correggere l’emoglobina adulta difettosa invece che a sbloccare la variante fetale.
Vengono poi le infezioni croniche delle vie urinarie, un problema che affligge principalmente le donne, quando i semplici antibiotici non bastano più. Il trattamento sviluppato da Locus Biosciences è un cocktail di tre fagi (i virus che attaccano i batteri) combinato con la Cas3, che riduce a brandelli il DNA batterico. La somministrazione avviene nella vescica via catetere e la sperimentazione dovrebbe arrivare a coinvolgere ben 800 persone.
Nella classe delle malattie causate da ripiegamento anomalo delle proteine, Intellia Therapeutics ha preso di mira l’amiloidosi da accumulo da transtiretina, che ha qualche somiglianza con malattie neurologiche ben più note (Alzheimer e Parkinson) ma rappresenta un bersaglio più facile. Le proteine tossiche infatti sono prodotte nel fegato, che può essere raggiunto senza difficoltà dalle nanoparticelle lipidiche usate come vettori per CRISPR. Le forbici molecolari, dunque, possono agevolmente bloccarne la produzione. Se i buoni risultati ottenuti finora saranno confermati nella fase più avanzata del trial, e se il mercato dimostrerà abbastanza interesse, questo potrebbe essere il prossimo prodotto approvato. Lo stesso identico approccio, nel frattempo, ha iniziato a essere testato dalla stessa azienda per una grave malattia infiammatoria: l’angioedema ereditario, con risultati preliminari del trial di Fase I/II positivi. Stesse forbici, stesse nanoparticelle, stessa modalità di somministrazione, stessa destinazione: il fegato. A cambiare è solo la molecola guida che indica il punto del DNA da recidere. Ed è proprio questo il bello di CRISPR: è una piattaforma adattabile.
Veniamo ora alle applicazioni oncologiche, che conservano un grande potenziale nonostante qualche recente delusione. Le CAR-T classiche sono cellule armate per attaccare i tumori (soprattutto leucemie e linfomi), ma produrle su misura per ogni paziente è lungo e costoso. Aveva suscitato entusiasmo, dunque, la possibilità di usare CRISPR per produrre CAR-T allogeniche anziché autologhe, a partire da materiale biologico di donatori sani, opportunamente editato per proteggerlo dal sistema immunitario del ricevente. Peccato che le cellule allogeniche dopo un po’ tendano a essere rigettate, aumentando il rischio di recidive, ragion per cui sono utilizzate per lo più come strategia-ponte in attesa di un trapianto di staminali. La posta in palio, comunque, è troppo alta per abbandonare la sfida senza prima aver provato a combinare più interventi di editing per beffare meglio il sistema immunitario. Le compagnie da tenere d‘occhio su questa frontiera sono CRISPR Therapeutics, Beam Therapeutics e Caribou Biosciences. Senza dimenticare il piccolo trial avviato dal centro di ricerca dell’ospedale Great Ormond Street, reso celebre dalla guarigione della giovane Alyssa.
Per quanto riguarda i tumori solidi, c’è attesa per i risultati del programma di CRISPR Therapeutics per il carcinoma renale, ma ai blocchi di partenza potrebbero avvicinarsi anche trattamenti mirati contro le cellule cancerose gastrointestinali e di derivazione epiteliale (si pensi a seno e pancreas).
Cambiamo settore e puntiamo a un altro bersaglio grosso: le malattie cardiovascolari. L’idea non è nuova: prima ci si concentra su una forma rara (l’ipercolesterolemia familiare) e poi si adatta la strategia alle manifestazioni più comuni. A fare da apripista è Verve Therapeutics, le cui nanoparticelle veicolano nel fegato un correttore di basi programmato per cambiare una singola lettera in un gene chiave per la produzione del colesterolo “cattivo” (PCSK9). Gli effetti osservati sono superiori alla terapia classica a base di statine e le autorità competenti hanno valutato che la sperimentazione merita di continuare, nonostante gli effetti collaterali e un decesso sospetto. Nel 2023 CRISPR Therapeutics ha avviato altri due trial, con le stesse modalità di somministrazione di Verve ma geni bersaglio diversi (ANGPTL3 e Lp(a)), il cui editing potrebbe essere utile in una fascia molto più ampia della popolazione.
Grande interesse c’è anche per le applicazioni contro l’HIV. Poiché il virus inserisce il suo DNA nel genoma dell’ospite, la strategia di Excision Biotherapeutics consiste nel tagliare via queste sequenze con le forbici CRISPR traghettate con vettori virali. Le persone trattate finora sono solo tre, ma la sperimentazione prosegue.
Per il diabete di tipo 1, l’idea che viene testata da CRISPR Therapeutics consiste nel trapiantare isole pancreatiche prodotte a partire da cellule staminali ed editate per evitare il rigetto (OTA ne ha parlato qui). La sperimentazione di Fase I era stata sospesa per ragioni di politiche commerciali, ma è destinata a riprendere.
Ed eccoci arrivati, finalmente, alle malattie in cui il sistema immunitario attacca per errore il suo stesso corpo. Nel caso del lupus eritematoso sistemico, possono essere colpiti molti tessuti e organi diversi, e i farmaci usati comunemente possono avere gravi effetti indesiderati. In soccorso stanno arrivando le CAR-T autologhe ma CRISPR potrebbe consentire anche l’uso di CAR-T allogeniche, come per le applicazioni oncologiche. Ancora una volta ad aprire la strada è CRISPR Therapeutics, che sta iniziando una sperimentazione, ma altre seguiranno, come spiega Justin Eyquem at Gladstone Institutes nell’analisi pubblicata dall’IGI. “C’è grande eccitazione. Per trattare il cancro, le CAR-T devono riuscire a persistere nel corpo per un tempo molto lungo, e questa è una grossa sfida per le allogeniche. Ma i dati clinici preliminari suggeriscono che questo potrebbe non essere vero per il trattamento dei disordini autoimmuni”. In questo specifico campo, si spera di riuscire a resettare il sistema immunitario del paziente in un tempo relativamente breve. La febbre delle CAR-T, insomma, ha contagiato lo spazio delle malattie autoimmuni e molte aziende stanno aprendo divisioni dedicate.
L’analisi dell’IGI, infine, ricorda le sperimentazioni chiuse senza il lieto fine: per la morte dell’unico paziente nel caso della distrofia muscolare di Duchenne, perché i benefici erano limitati a un sottogruppo troppo piccolo di pazienti nel caso della cecità genetica (amaurosi di Leber), o per non meglio specificate ragioni di business nel caso di un trial per diversi tipi di cancro metastatico.