Uno studio italiano punta ad una specifica CAR-T contro questo aggressivo tumore del cervello, indagando anche la via migliore per far giungere le cellule immunitarie a contatto con quelle tumorali
Le terapie a base di CAR-T sono in continua evoluzione e le promesse si allargano su nuovi orizzonti. Lo dimostrano i traguardi tagliati nel campo dell’onco-ematologia e lo confermano i risultati che stanno giungendo anche sul terreno di gioco dei tumori solidi. Come nel caso del glioblastoma, tra i più noti e aggressivi tumori cerebrali, contro cui sono state schierate anche le cellule CAR-T sviluppate da un gruppo di ricerca italiano dell’Università di Modena e Reggio Emilia. I risultati dello studio sono stati pubblicati a fine ottobre su Precision Oncology, rivista del gruppo Nature.
Il perno del lavoro - guidato dal prof. Massimo Dominici, direttore della S.O.C. di Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena e Reggio Emilia e dal prof. Giacomo Pavesi, direttore della S.O.C. di Neurochirurgia della stessa azienda ospedaliera - è stato l’identificazione di un antigene adatto per la costruzione di cellule CAR-T da usare in maniera mirata contro il glioblastoma. Infatti, come abbiamo avuto modo di raccontare anche nella puntata del podcast “Reshape - Un viaggio nella medicina del futuro” dedicata alle CAR-T, i tumori solidi alzano il livello di difficoltà per la messa a punto di approcci a base di CAR-T. Questo è dovuto, innanzitutto, alla problematica relativa alla scelta dell’antigene da prendere a bersaglio e poi per la difficoltà di accesso alla massa tumorale. Per fortuna sono molti i ricercatori in tutto il mondo che sono impegnati per superare tali ostacoli.
Ma quello che sulla carta sembra scontato, diventa ben più complicato nella pratica. La ricerca oscilla tra momenti di successo e altri di fallimento: negli ultimi anni sono stati testati diversi antigeni di superficie per la realizzazione di terapie CAR-T contro il glioblastoma, fra cui EGFRvIII (la variante III del recettore del fattore di crescita epidermico), HER2 (più noto per le terapie per il cancro al seno), IL13Ralfa2, B7-H3 e, infine, la disialoganglioside (GD2). Proprio quest’ultima si è rivelata l’oggetto di studio dei ricercatori italiani che hanno notato come essa sia altamente espressa nelle linee cellulari di glioblastoma (mentre lo è molto meno nelle strutture del sistema nervoso centrale). Da qui l’idea che GD2 possa rappresentare un bersaglio clinico adeguato per il glioblastoma (un pò come l’antigene CD19 lo è stato per le CAR-T dirette contro alcuni linfomi).
In studi precedenti, i ricercatori hanno messo a punto dei modelli preclinici per studiare l’efficacia in vitro e in vivo di una terapia CAR-T GD2, osservando un’intensa attività antitumorale. In questo ultimo lavoro hanno utilizzato linee cellulari di glioblastoma derivate dai pazienti per cercare conferma dei loro risultati, sia in vitro che in vivo. Infine, dal momento che la tecnologia CAR-T ha fondato i suoi successi su un approccio di tipo autologo, i ricercatori italiani hanno testato la capacità del loro prototipo di mediare una risposta antitumorale in un modello autologo in vitro, ottenendo un risultato potente e specifico. Non solo l’effetto anti-tumorale ha trovato conferma in ognuno di questi modelli di indagine, ma i ricercatori hanno anche osservato che la CAR-T GD2 non ha scatenato l’insorgenza della sindrome da rilascio delle citochine (uno degli effetti collaterali più temuti nel campo delle terapie CAR-T). Un dato questo che farebbe presupporre anche un buon profilo di sicurezza.
In aggiunta a quanto finora descritto, i ricercatori sono ricorsi ad elaborati modelli 3D per comprendere meglio la distribuzione spaziale del tumore e studiare la via migliore per far infiltrare le cellule immunitarie nella massa solida. Sono stati confrontati i meccanismi di iniezione per via endovenosa, intracranica e intraventricolare, quest’ultimo metodo ha prodotto buoni risultati in termini di regressione del tumore. Lo studio italiano si è allineato con quanto già emerso da lavori precedenti: la somministrazione per via endovenosa della terapia a base di CAR-T deve far i conti con la resistenza del microambiente tumorale e non si traduce in un miglioramento della sopravvivenza nei modelli animali testati. Al contrario, la somministrazione per via intracranica delle CAR-T, insieme a quella di cellule di glioblastoma che mimano la presenza di una malattia minima residua in seguito a resezione, ha prodotto un risultato ben più confortante.
Questa innovativa strategia terapeutica - che finora ha mostrato promettenti risultati in termini di efficacia e sicurezza in sperimentazioni precliniche - è in fase di studio anche per il carcinoma a piccole del polmone e per il melanoma. Ovviamente, prima di poter dire che ci si sta avvicinando ad una nuova terapia per questi tipi di tumori solidi, bisognerà passare alla fase degli studi clinici sui pazienti.
Per saperne di più su cosa sono le terapie CAR-T, come sono state ideate, i successi attuali e le future promesse, potete ascoltare la terza puntata del podcast “Reshape - un viaggio nella medicina del futuro” e scaricare la storia illustrata abbinata.