Dott.ssa Francesca Bonifazi (Bologna): “Due sono i fattori chiave: uno è il prodotto cellulare, l’altro è la complessità clinica del paziente. Entrambi richiedono grande competenza”
In questa folle estate tropicale, nella quale al caldo record raggiunto in varie città d’Italia si sono alternate violente grandinate e devastanti eventi meteorologici, a far discutere i rappresentanti della politica non ci ha pensato solo il cambiamento climatico ma anche l’accesso alle terapie avanzate. Infatti, un’interrogazione parlamentare presentata a inizio giugno dall’On. Simona Loizzo (Lega) ha acceso il dibattito sui requisiti necessari per l’accreditamento dei centri presso cui eseguire la somministrazione delle terapie a base di cellule CAR-T. Osservatorio Terapie Avanzate ha scelto di commentare la risposta del Ministro della salute, Orazio Schillaci, insieme alla dott.ssa Francesca Bonifazi, Direttore del Programma di Terapie Cellulari presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna.
Come ha ricordato il Ministro Schillaci nella sua risposta in Parlamento, sulla base della normativa vigente i criteri necessari perché un centro clinico possa somministrare ai pazienti terapie ad alta complessità come le CAR-T prevedono: il riconoscimento di un certificato del Centro Nazionale Trapianti, la presenza in struttura di un’unità di terapia intensiva, di un team multidisciplinare formato nella gestione clinica delle possibili complicanze della terapia e, infine, l’accreditamento JACIE (Joint Accreditation Committee of ISCT and EBMT), indispensabile per effettuare qualsiasi trapianto allogenico di cellule staminali del sangue. Tale sistema stabilisce i requisiti di cui una struttura sanitaria deve essere in possesso per operare nell’ambito delle fasi di raccolta, manipolazione e utilizzo clinico delle cellule staminali, in modo da garantire il corretto funzionamento di un programma di trapianto di midollo.
L’accreditamento JACIE è stato al centro dell’interrogazione dell’On. Loizzo dal momento che i principali prodotti a base di terapie CAR-T oggi in commercio sono ottenuti da cellule del paziente stesso - quindi sono procedure autologhe - e non necessitano perciò dei “processi e delle competenze che sono, invece, richiesti ad un centro che esegue trapianti allogenici, nei quali il donatore e il ricevente sono persone diverse”. Il nodo della questione è legato alla preoccupazione che una tale incongruenza possa limitare l’accesso alle terapie CAR-T sul territorio nazionale. Ma è davvero così?
Dottoressa Bonifazi, su cosa dovrebbero basarsi i criteri per l’erogazione delle terapie CAR-T?
Gli attuali criteri di accreditamento per le CAR-T devono poter certificare la competenza e la capacità di gestione di due fattori: uno è il prodotto cellulare, l’altro è la complessità clinica del paziente. In quanto prodotto cellulare le CAR-T sono regolate dalla stessa normativa dei trapianti e delle terapie cellulari tanto che, una volta restituite dall’officina produttiva dove i linfociti T sono stati ingegnerizzati per esprimere l’antigene CAR, esse non vengono destinate alla farmacia ospedaliera come gli altri farmaci ma al Tissue Establishment, una delle unità fondamentali del programma trapianti. Qui il farmacista del team multidisciplinare svolge gli opportuni controlli a cui sono sottoposti i farmaci, per esser certi che l’integrità cellulare sia preservata. Tutto ciò serve a far capire come sia mantenuta una complessità legata alla doppia natura delle CAR-T, le quali sono allo stesso tempo un farmaco e anche un prodotto cellulare.
Il livello di esperienza relativo al management del prodotto cellulare è simile sia per i trapianti autologhi che allogenici ma, poiché questi ultimi hanno una complessità tecnica e un livello di rischio più elevato, nel caso delle CAR-T si è deciso di procedere con l’accreditamento JACIE allo scopo di garantire al paziente il massimo livello di competenza (e quindi di sicurezza) nell’affrontare questa pratica.
Cosa intende con la dicitura complessità clinica del paziente?
Esiste una differenza sostanziale nelle procedure di trapianto allogenico o di trapianto autologo. Il paziente che si sottopone a quest’ultima forma di trattamento non necessita di esser posto in isolamento e può essere gestito all’interno di percorsi totalmente o parzialmente domiciliari. A differenza del paziente sottoposto a trapianto da donatore che deve esser posto in isolamento per un certo periodo così da scongiurare il rischio di infezioni. Inoltre, il paziente sottoposto a trapianto allogenico può andare incontro a molte complicanze, oltre a quelle infettive, che lo rendono appunto un paziente ad alta complessità assistenziale da richiedere un approccio che comprenda competenze ematologiche ma anche internisti che ed intensivistiche. Per un paziente a cui vengono infuse le CAR-T il punto cruciale è la rapidità d’azione che si rende necessaria in alcune circostanze (non frequenti ma occasionali), quali la sindrome da rilascio citochinico o la neurotossicità, certamente meglio gestite da un’équipe medica da sempre abituata a farsi carico di pazienti complessi. È così che si può dare garanzia del miglior risultato possibile.
Sia sul versante dell’efficacia che della sicurezza…
Certamente. In questi anni all’interno del Programma per le Terapie Cellulari Avanzate attivo a Bologna e di cui sono responsabile abbiamo incluso circa 140 pazienti a cui sono state infuse le CAR-T. Abbiamo definito percorsi multidisciplinari specifici, lavorando a stretto contatto con ematologi dotati di competenze trapiantologiche e non trapiantologiche, ma anche con neurologi, intensivisti, infettivologi, radiologi, medici nucleari, istopatologi e cardiologi fino a raggiungere una ottimale gestione delle complicanze. L’accesso alla terapia intensiva non ha mai rappresentato un grosso problema ma la rapidità con cui clinicamente possono instaurarsi delle complicanze - fra cui la tossicità neurologica che insorge entro poche ore dall’infusione - richiede un team clinicamente abituato a mettere in pratica le procedure necessarie.
Sulla base di questo cosa ne pensa della possibilità di riconsiderare l’accreditamento JACIE per i centri che erogano le CAR-T?
I criteri JACIE contribuiscono a fissare alcuni requisiti che garantiscono la sicurezza, la correttezza e la tracciabilità di percorsi complessi, dove l’errore può essere evidenziato e corretto prevedendo di rivedere periodicamente le casistiche dei pazienti e verificare la coerenza dei risultati con i dati della letteratura scientifica (benchmarking). La risposta del Ministro Schillaci è stata corretta, precisa ed esauriente, sottolineando come il primo obiettivo sia stato fissato nella sicurezza sia del paziente sia del prodotto. Nel frattempo, l’andamento delle terapie sarà strettamente monitorato e, se in futuro lo scenario dovesse cambiare, allora sarà possibile ripensare l’intero modello.
Sta parlando della possibilità che giungano sul mercato nuove CAR-T allogeniche?
Le CAR-T sono oggetto di monitoraggio da parte dell’AIFA ed è necessario che questo processo prosegua anche sul lungo termine, sia in termini di efficacia che di sicurezza. Di certo il numero di indicazioni per la somministrazione delle cellule CAR-T è destinato ad aumentare ma dobbiamo considerare anche l’arrivo di altre forme di immunoterapia ad esse complementari. Il modello di somministrazione attualmente in vigore funziona ma non bisogna aver la presunzione di pensare che sarà sempre così. Probabilmente l’immissione sul mercato di nuove terapie o delle CAR-T allogeniche cambierà lo scenario tuttavia solo con un monitoraggio serrato dei dati sarà possibile disporre di dati utili a prendere nuove decisioni, evitando di disperdere esperienza e risorse economiche.
Ma nella situazione attuale non esiste il rischio di limitare l’accesso a queste terapie ai pazienti che ne hanno bisogno?
Implementare l’esperienza di un programma trapianti in un centro clinico di modeste dimensioni è tutt’altro che semplice. Le capacità attuali sono limitate e, diversamente da quanto si pensa, bisogna centralizzare i processi per aumentare il numero di accessi, non il contrario. La Rete Nazionale Trapianti Italiana è composta da molti centri ben dislocati su tutto il territorio nazionale, al contrario di quella tedesca che ha meno centri ma di maggiori dimensioni. In Italia ogni Regione può individuare entro i suoi confini i centri che soddisfino i requisiti minimi di accreditamento col risultato che alcune hanno una lista centri molto lunga ma solo pochi di essi trattano un robusto numero di pazienti.
E questo aumenta la disomogeneità di trattamento…
Esatto. Per gestire al meglio i pazienti candidati a ricevere terapie avanzate come le CAR-T è necessario che si generi una solida esperienza pratica, la quale si ottiene solo infondendo annualmente un alto numero di persone. Abbassare i criteri per l’accreditamento, facendo in modo che in tanti più centri si possano somministrare le CAR-T, rischierebbe di disperdere le risorse e ridurre la qualità dell’assistenza che per queste terapie è fondamentale. Per aumentare i numeri occorre centralizzare le terapie complesse (tematica che è stata affrontata nel tavolo di lavoro “organizzazione dei centri clinici e presa in carico dei pazienti”, a cui ha partecipato la prof.ssa Bonifazi, all’interno del progetto retreAT di Osservatorio Terapie Avanzate).
Come sta avvenendo in altri Paesi fra cui gli Stati Uniti dove i centri autorizzati sono poco più di un centinaio a fronte di un territorio ben più vasto…
Infatti. Tanto che un ulteriore problema che potrebbe limitare l’accesso a trattamenti come le CAR-T è la capacità manifatturiera. Le grandi case farmaceutiche stanno incontrando problemi a garantire a tutti i livelli produttivi necessari a sostenere i farmaci sul mercato e quelli in arrivo. Pertanto, bisogna individuare soluzioni in grado di aumentare la capacità di produzione.
Una di queste potrebbe essere la produzione in ambito accademico, come quella per cui è candidato il vostro centro?
L’IRCCS Sant’Orsola di Bologna è candidato a ospitare presso il nuovo polo ematologico una Cell Factory di 8 camere che permetterà di produrre circa 150 prodotti di terapia cellulare all’anno. Siamo in attesa del finanziamento nazionale grazie a cui potremo avviare i lavori di costruzione della struttura perciò ci vorranno almeno 3-4 anni perché il progetto veda la luce. Nel frattempo, stiamo implementando questo progetto con uno altrettanto importante di formazione e adeguamento delle infrastrutture e delle esperienze tra le realtà oggi esistenti sul territorio. Tutto ciò per andare nella direzione di una crescente omogeneità di accesso.
Quanto conta disporre di accurati percorsi di monitoraggio dei pazienti che ricevono le CAR-T?
Moltissimo. Il monitoraggio della risposta alle CAR-T è un punto cruciale. Siamo costantemente alla ricerca di marcatori precoci di risposta e tossicità che permettano di stratificare i pazienti sulla base del rischio e, in futuro, optare per regimi semi-domiciliari in alcuni casi, oppure per ambienti super-protetti destinati ai casi con complicanze o specifici fattori di rischio.
A livello organizzativo pesa molto la mancanza di una voce specifica nel “Diagnosis Related Group” (DRG) per le CAR-T?
Come già detto l’erogazione delle CAR-T non si limita all’infusione del prodotto ma è una procedura che coinvolge molte figure in ruoli diversi, tutti necessari. Attualmente nella nostra Regione applichiamo alle CAR-T il DRG 481 per i trapianti autologhi ma stiamo conducendo uno studio sui costi diretti e indiretti delle CAR-T per comprendere meglio il peso delle varie voci in capitolo. Fino a che i pazienti sono ospedalizzati è più facile farsi un’idea dei costi delle terapie e delle risorse necessarie per fornire l’assistenza, ma l’oggettivizzazione dei costi nel follow-up è più complicata.
Stiamo attraversando una delicata fase farmaco-economica nella quale occorre valutare l’impatto delle terapie avanzate in termini di costi e sostenibilità. Per questa ragione dobbiamo uniformare la nostra prassi, condividendo i codici delle prestazioni e continuando a raccogliere i dati per gli studi in “real life”. Solo adottando i medesimi comportamenti sarà possibile pensare di contenere il danno della mobilità sanitaria e potenziare l’assistenza ai malati.