I trattamenti non autorizzati a base di cellule staminali fanno capolino anche nell’emergenza sanitaria: a circa due mesi dalla dichiarazione di pandemia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono molteplici le aziende americane che stanno approfittando della situazione disperata per venderle a caro prezzo. Molte cliniche hanno una storia di vendite di questa tipologia di prodotto e, da quando è arrivata la COVID-19, si sono adeguate alle nuove esigenze di mercato, pur mancando le prove scientifiche a sostegno del loro utilizzo. Restando in tema bioetico, sta diventando virale il dibattito legato all’epidemiologia digitale - cioè l’utilizzo di dati generati al di fuori del sistema sanitario pubblico per la sorveglianza delle malattie – soprattutto per quanto riguarda l’omogeneità dell’applicazione delle tecnologie digitali e per la privacy.
La pandemia ha dimostrato che i classici tamponi basati sulla reazione a catena della polimerasi (PCR) non bastano più. Rappresentano il golden standard della diagnostica ma richiedono reagenti difficili da reperire durante un’emergenza globale come questa, macchinari costosi, competenze specialistiche e troppo tempo per l’esecuzione. Il futuro del settore diagnostico è nei test rapidi, possibilmente da fare anche a casa e auspicabilmente in multiplex. A che punto è la transizione? La velocità è un requisito ormai a portata di mano, al traguardo dell’home-testing si sta lavorando e la fattibilità di chip capaci di eseguire simultaneamente centinaia di test diversi è già stata dimostrata in laboratorio.
La carta d’identità di SARS-CoV-2, che da quello che sappiamo oggi ha cominciato a circolare nell’uomo a fine 2019, si va via via completando man mano che crescono gli studi (siamo giunti a oltre quattromila pubblicazioni in materia) su questo nuovo Coronavirus. Tra le informazioni su cui quasi nessuno ormai ha più dubbi c’è quella relativa alla porta d’ingresso del virus nel nostro organismo: si tratta del recettore ACE2, abbondantemente espresso nelle cellule alveolari (pneumociti) di tipo 2 e nelle cellule ciliate presenti a livello dell’epitelio polmonare, questo spiega la forte dominanza della componente respiratoria nei sintomi della COVID-19. Ma le cellule che SARS-CoV-2 è in grado di infettare e gli organi che può colpire sono ben di più e tra questi l’intestino.
Una delle questioni in fase di discussione in questo complicato periodo di emergenza sanitaria riguarda i regimi di proprietà intellettuale. Diversi Paesi, organizzazioni e singoli chiedono che le proprietà intellettuali siano un sostegno, e non un ostacolo, per lo sviluppo di farmaci, tecniche diagnostiche e vaccini per il virus SARS-CoV-2. La richiesta è che venga consentito il libero accesso ai brevetti o la concessione di licenze a condizioni ragionevoli e convenienti per qualsiasi farmaco, terapia avanzata, vaccino o tecnica diagnostica per combattere la pandemia. Tutto questo per garantire ai cittadini del mondo l’equità di trattamento. Un progetto con il coinvolgimento di enti, aziende e istituzioni a livello globale potrebbe essere la soluzione?
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