manifatttura, sistema chiuso, terapie avanzate

I sistemi chiusi permettono un notevole risparmio energetico e una riduzione delle emissioni di gas serra ma soprattutto un abbassamento dei costi di produzione delle terapie avanzate

Da quando si è iniziato a parlarne l’obiettivo principale è stato quello di far capire come funzionino le terapie avanzate, quale sia la differenza tra i farmaci di sintesi e questi nuovi entusiasmanti “farmaci vivi” che promettono di rivoluzionare la storia  di una serie di malattie genetiche – e non solo - da sempre prive di cura. Ma, come già illustrato in diverse occasioni, la sfida delle terapie avanzate non è solo scientifica: è anche una sfida tecnologica ed organizzativa che stravolge il modo di produrre e rendere disponibili questi nuovi trattamenti. Perciò comprendere a fondo  l’evoluzione del processo manifatturiero delle terapie avanzate aiuta a inquadrarne con precisione la portata e le potenzialità.

GOOD MANUFACTURING PRACTICES E OFFICINE PRODUTTIVE 

In uno studio - recentemente pubblicato sulla rivista Bioengineering e che nasce dalla collaborazione del Centro Trapianti Cellule Staminali e Terapia Cellulare presso l’Ospedale Infantile “Regina Margherita” di Torino, del Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, dell’Università degli Studi di Torino, e di BIOAIR S.p.A. presso il Centro di Biotecnologie Molecolari dell’Università degli Studi di Torino - è stata condotta un’analisi comparativa tra il rendimento e il consumo dei sistemi cosiddetti “aperti” di produzione delle terapie avanzate e i “sistemi chiusi”, che stanno intervenendo a cambiare le logiche produttive di queste innovative terapie.

Che il processo di produzione degli ATMP ad uso clinico debba essere conforme ai principi delle buone pratiche di fabbricazione (GMP, Good Manufacturing Practices) è indiscutibile: le norme di questo regolamento concorrono a determinare le modalità di produzione e controllo dei preparati cellulari, dalla raccolta e manipolazione delle materie prime alla lavorazione dei prodotti intermedi, fino ai controlli di qualità, allo stoccaggio, all’etichettatura, al confezionamento e al rilascio. Ogni stadio produttivo è soggetto a una rigorosa regolamentazione al fine di portare al letto del malato prodotti terapeutici dotati dei massimi standard di sicurezza. Come raccontato in un’intervista della prof.ssa Maria Luisa Nolli, tra le migliaia di punti e annessi toccati dalle GMP c’è anche la “costruzione” di un’officina produttiva dotata di stanze di lavoro classificate in maniera differente - grado A, B, C e D - a seconda della criticità dei processi in esse svolti: in quelle di grado D si realizzano i passaggi meno critici in termini di sterilità, mentre quelle di grado A richiedono il massimo livello di sterilità e devono essere dotate di filtri, cappe aspiranti e materiale espressamente asettico.

Pertanto, l’organizzazione di un’officina produttiva prevede la disposizione di stanze di più tipologie secondo uno schema definito e in accordo con una dotazione specifica di sistemi di ventilazione, per evitare non solo potenziali dispersioni di materiale biologico ma, soprattutto, la contaminazione con patogeni che potrebbero inficiare in maniera irreparabile la qualità del prodotto. Per avere anche una minima idea di che tipo di ambiente sia quello dove nasce un prodotto di terapia cellulare o di terapia genica basta pensare a certi film hollywoodiani in cui i laboratori sono rappresentati come camere “bianche”, sigillate e sterilizzate, dove gli scienziati si muovono con indosso pesanti tute di plastica, maschere e respiratore. 

SISTEMI CHIUSI: BALLANDO NEL CAMPO DELLA STERILITÀ

La sterilità è un prerequisito fondamentale per la nascita di una terapia avanzata. Ma un laboratorio che preveda un susseguirsi di camere dalla A alla D, con sistemi di ventilazione e cappe laminari, ha dei costi (e dei consumi) esorbitanti. Pertanto, in anni recenti sono stati pensati e realizzati i cosiddetti “sistemi chiusi” nei quali gli isolatori e i bioreattori utilizzati per la produzione di terapie avanzate sono fisicamente separati dagli operatori umani che seguono i processi. In forza di questa rigida separazione fisica tra i tecnici al lavoro e il prodotto, l’utilizzo di sistemi chiusi può essere effettuato in aree o stanze di grado D: in buona sostanza il prodotto cellulare viene messo a punto all’interno di camere isolate, simili a quelle con grossi guanti in plastica in cui il tecnico infila le mani, restando così fisicamente separato dal prodotto. Ovviamente, in un’officina produttiva le cose sono molto più complicate di così ma questo è già sufficiente a comprendere il cambiamento organizzativo che un sistema chiuso offre.

POINT OF CARE E COSTI DI PRODUZIONE

Uno dei più grossi ostacoli nella corsa all’applicazione clinica delle terapie avanzate sono proprio i costi di produzione, che comprendono costi diretti (spese per l’acquisto di reagenti, farmaci e attrezzature sanitarie, costi del personale e dei controlli di qualità) e indiretti (spese sostenute per il funzionamento dell’attività produttiva fra cui appaiono gli impianti elettrici, i costi di convalida degli strumenti, nonché la pulizia e la sanificazione degli stessi). In un articolo pubblicato sulla rivista Science & Society si prendono ad esempio le terapie a base di cellule CAR-T, la cui produzione - specialmente per quello che riguarda i prodotti autologhi - rimane un’ardua sfida per le aziende e per i centri di ricerca. Numerosi sono i fronti di miglioramento, dalla scelta e messa a punto dei vettori virali, fino alle cosiddette produzioni Point-Of-Care (POC) per le quali i sistemi chiusi rappresentano un deciso vantaggio. Infatti, contrariamente a quello aperto - che è un sistema statico, progettato per essere localizzato in un unico sito - un sistema chiuso ha la peculiarità di essere flessibile e consentire una più efficiente gestione di processi diversi nello stesso ambiente, oltre che un eventuale spostamento degli impianti di produzione di ATMP in siti diversi. Pertanto, un sistema chiuso si configura come un modello modulare, facilmente adattabile a condizioni edilizie differenti: tale soluzione diventa estremamente interessante nella prospettiva di creare un “network di facilities” per la produzione di ATMP presso un maggior numero di ospedali e cliniche specializzate sul territorio nazionale. 

MENO COSTI E MENO SPRECHI

Nella sua analisi, lo studio torinese ha quindi posto a confronto il modello aperto e quello chiuso, analizzando costi, consumi e produttività di entrambi nel corso di un ciclo di produzione della durata di 21 giorni. L’aspetto centrale emerso da questo paragone è che, oltre a fornire un maggior livello di protezione, gli isolatori consentono una riduzione di gas serra del 52% rispetto ai sistemi aperti. Inoltre, essi permettono di raggiungere un risparmio significativo rispetto ai corrispettivi sistemi aperti: in pratica, come abbiamo già avuto modo di capire, le terapie avanzate non possono essere sterilizzate in quanto prodotti medicinali “vivi”, spesso ottenuti a partire da campioni di cellule prelevati dai pazienti medesimi.

Perciò, la produzione di questi farmaci così speciali esige ambienti sterili all’interno dei quali il controllo della contaminazione ambientale e microbiologica è ottenuto attraverso potenti sistemi di ventilazione che, filtrando e facendo circolare l’aria nell'ambiente, ne garantiscono la sterilità. Il mantenimento di tale condizione costituisce un processo ad alto consumo energetico, specialmente in un sistema aperto che richiede un elevato numero di scambi d’aria. Al contrario, l’installazione di isolatori all’interno di camere di grado D richiede un numero molto inferiore di ricircoli d’aria producendo un sostanziale risparmio (85% di riduzione energetica rispetto a un sistema aperto) e mantenendo alto il livello di protezione dell’operatore. 

“Confrontando il consumo energetico totale - calcolato come somma dell’energia necessaria per la ventilazione, la distribuzione e il trattamento dell’aria e la strumentazione - abbiamo dimostrato che l’energia necessaria per completare un ciclo di produzione di 21 giorni in un sistema aperto è notevolmente superiore a quella richiesta da un ciclo di produzione equivalente in un sistema chiuso”, concludono gli autori, sottolineando le enormi potenzialità di questi moderni sistemi nell’ottica di una crescente crescita delle terapie avanzate nei percorsi sanitari e di un più facile accesso per i pazienti alle cure che esse promettono.

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