Chi ha paura delle terapie avanzate?

Chi ha paura delle biotecnologie? O delle nuove terapie avanzate?

Una domanda molto franca, che ognuno di noi può rivolgere a se stesso. E, soprattutto, di grande attualità in un momento come questo in cui si sente sempre più spesso parlare di terapia genica, editing genomico  e tecniche di modifica del DNA come CRISPR. I titoli delle più importanti testate mondiali, puntando al sensazionalismo della notizia, molto spesso suscitano allarme e preoccupazione nella popolazione che, di fronte a termini come “clonazione umana”, “modifica del genoma” o “forbici molecolari”, reagisce con freddezza e sfiducia immaginando gli scienziati come dei moderni dott. Moreau impegnati in strani e terribili esperimenti. Allo stato attuale delle ricerche scientifiche non ci possiamo permettere questo tipo di errore.

La paura nasce principalmente da una scarsa – quando non addirittura assente – comprensione della dimensione di qualcosa. Temiamo ciò che non conosciamo. Ma se, per certi versi, è facile fare esperienza di quello che fisicamente ci incute timore è molto più arduo rapportarsi a materie che richiedono una conoscenza profonda e strutturata per essere comprese e discusse senza pregiudizi, timori o preoccupazioni. La scienza e la biologia rientrano in questo secondo modello di “spauracchi”. Non è immediato e nemmeno semplice parlare di scienza senza essere fraintesi o senza instillare interrogativi che alimentino la diffidenza di chi ascolta o legge.

Nel suo libro, La paura delle biotecnologie. Storia di una crisi di rapporto tra scienza e società (Aracne Editrice, 2008), Francesca Ceradini, biologa molecolare, divulgatrice scientifica nonché Direttore Scientifico di Osservatorio Terapie Avanzate, affronta con un linguaggio semplice, e con esempi chiarificatori lo spinoso e complesso tema del rapporto tra la società e le scienze e tecnologie. Ancora oggi, il caso dell'encefalopatia spongiforme bovina (BSE), o della “mucca pazza” come è meglio conosciuto ai più, è una lampante traduzione in cronaca di una cattiva gestione sul piano politico del rapporto con la scienza e del fatto che gli interessi commerciali abbiano prevalso sull’interesse per la salute dei cittadini. L’esplosione della BSE ha minato alle fondamenta la fiducia della popolazione nella scienza e nella biologia. E la politica non ha aiutato a recuperare questo rapporto. Al contrario, i dubbi si sono amplificati nel difficile approccio con i frutti delle nuove biotecnologie, come gli OGM o i modelli animali derivati dalla clonazione.

Nel suo libro Ceradini ricostruisce con precisione e scrupolo la cronaca delle vicende legate alla BSE, riassume in modo chiaro l’impatto che gli OGM hanno avuto sul mercato, sulla politica e sull’opinione pubblica e inquadra le conseguenze della nascita di Dolly, la pecora che ha contribuito a rendere universalmente noto il termine clonazione. Ma le paure scatenate dai primi cibi OGM e Dolly, non sono assolutamente superate. Queste stesse tematiche si ripropongono a 20 anni di distanza con il dibattito sul cibo modificato con CRISPR e le scimmiette clonate di cui si è tanto discusso. E il pomodoro OGM e Dolly sul piano cronologico non sono poi così distanti dalle gemelline nate con un patrimonio genetico modificato che il dott. He Jiankui di Shenzen sostiene di aver creato.

Le tecnologie sono cambiate ma la maniera in cui la società vi si approccia, purtroppo, non ancora: Ceradini nel suo libro descrive gli eclatanti proclami alla stampa da parte del gruppo dei raeliani, una congrega di fanta-scienziati col pallino della clonazione che aveva più volte annunciato di essere riuscito a replicare l’essere umano. In barba ai protocolli etici e ad obiettivi di ricerca coerenti con la salute delle persone. Fortunatamente si trattò solo di notizie fasulle ma, oggi, il dott. He ha annunciato di essere riuscito davvero a modificare il patrimonio genetico di un essere umano. Naturalmente, contravvenendo ai medesimi protocolli etici e scientifici.

Ed è per questo che è urgente far capire la differenza tra chi fa ricerca e chi, invece, danneggia la ricerca. Ceradini sottolinea come sia prioritario che il rapporto di comunicazione tra gli scienziati e l’ampia platea di personaggi e figure che si occupano di divulgazione scientifica non sia unidirezionale e si declini nel segno della comprensione, del rispetto reciproco e dell’ascolto. Il mondo politico può e deve fare tanto perché le nuove frontiere della medicina siano presto al servizio dei cittadini. Gli scienziati, dal loro canto, devono scendere dal piedistallo, uscire dai laboratori e farsi interpreti coraggiosi e sensibili della comunicazione dei risultati del loro lavoro. Senza omissioni, fraintendimenti o scelte tendenziose. Inoltre, tecnici e i giornalisti devono contribuire a far comprendere prima di far giudicare.

Il dibattito non si gioca solo sul piano scientifico ma anche su quello etico e se è vero che la gente ha un disperato bisogno (e desiderio) di conoscere, è altrettanto vero che da un approfondimento sincero e onesto delle potenzialità e dei limiti delle biotecnologie può scaturire una discussione ricca anche in chiave etica (o meglio, della bioetica). Ceradini è pienamente consapevole di tutto ciò e conclude il suo racconto esprimendo l’esigenza di formare e disporre di nuovi comunicatori della scienza, figure dotate di un appropriato bagaglio culturale scientifico e di un’acuta capacità di analisi, che sappiano interfacciarsi con i principali protagonisti dell’universo scientifico senza dimenticare a chi sono rivolti i contenuti del loro lavoro.

Scritto circa dieci anni fa, il libro di Francesca Ceradini si legge con curiosità e induce alla riflessione ma, soprattutto, ieri come oggi affronta un aspetto centrale del dibattito etico e scientifico: cioè che pregiudizio ed interesse sono i nemici più duri per chi si occupi di fare divulgazione in materia di scienze. E sono anche il meccanismo di innesco della diffidenza e di quella paura che ancora oggi la società non riesce a superare nei confronti della biotecnologia e delle sue nuove frontiere.

 

 

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