L’ormai noto sistema di modifica del DNA potrebbe diventare il trattamento all’avanguardia dell’anemia falciforme e della beta talassemia, ma non tutti gli approcci sono uguali
Un team del St. Jude Children's Research Hospital e del Broad Institute del MIT e di Harvard ha messo a confronto cinque strategie di editing del genoma – utilizzando il più classico Cas9 o il più recente base editing - in cellule staminali ematopoietiche CD34+ e in cellule progenitrici. L’obiettivo è quello di valutare l’induzione della produzione dell’emoglobina fetale (HbF), in grado di sopperire alla mancanza dell’emoglobina che è tipica delle emoglobinopatie. Il base editing è in grado di indurre modifiche più precise e potenti rispetto ad altri approcci di editing, ma è necessario valutarne la sicurezza e l’efficacia. Lo studio è stato pubblicato quest’estate su Nature Genetics.
Il base editing (di cui abbiamo parlato qui) è una variante dell’editing genomico che permette di effettuare modifiche puntuali sulla sequenza di DNA. Crispr-Cas9, invece, può tagliare, rimuovere o inserire segmenti di DNA nel filamento bersaglio, ma è in grado di introdurre mutazioni puntiformi in una bassissima percentuale di casi. Dato che esistono molte malattie causate da un singolo errore puntiforme nella sequenza del DNA, avere a disposizione uno strumento in grado di agire in modo preciso sarebbe ottimo.
Tra queste, l’anemia falciforme e la beta talassemia potrebbero beneficiare di questa modalità di intervento, anche se l’obiettivo non è quello di correggere l’errore genetico che le scatena. Sono entrambe malattie potenzialmente fatali, causate da mutazioni nella beta-globina, gene che codifica per la molecola responsabile del trasporto dell’ossigeno nell’organismo umano, l’emoglobina. I sintomi si presentano subito dopo la nascita, momento in cui l’emoglobina fetale cessa di fare il suo lavoro per lasciare spazio alla versione “adulta”, che in questi casi non funziona come dovrebbe.
Il gene che codifica per l’emoglobina fetale è un ottimo bersaglio, dato che è sufficiente agire su un singolo nucleotide del DNA (una delle “lettere” del codice genetico) per riattivarlo. L’emoglobina fetale, infatti, non viene più prodotta dopo la nascita, ma potrebbe essere la soluzione ideale per trattare le malattie causate una carenza o assenza dell’emoglobina adulta funzionante. Questo è un approccio molto studiato negli ultimi anni e ad oggi pare essere una strada promettente nella ricerca di una terapia per le emoglobinopatie. Infatti, è più facile andare ad agire sulla produzione dell’emoglobina fetale, soluzione idealmente applicabile a più malattie, rispetto a singoli metodi diversi per ciascuna malattia.
Il gruppo di ricerca ha testato e confrontato gli effetti di Cas9 e di diversi base editor che agiscono sull’adenina. Cinque sono stati gli approcci valutati nello studio: tre prevedevano di generare altrettanti promotori della emoglobina fetale e i restanti avevano lo scopo di agire sull’espressione del repressore BCL11A o interferire con il suo legame al promotore dell’emoglobina fetale.
Gli approcci di editing delle basi sono stati da 2 a 4 volte più potenti, aumentando l'espressione dell'emoglobina fetale, a livelli più stabili e più uniformi, rispetto all'uso di Crispr-Cas9. Il base editing è stato utilizzato anche per creare un nuovo sito di legame di un particolare fattore di trascrizione – TAL1 – che, stando alle ricerche svolte dal gruppo, indurrebbe una produzione maggiore di emoglobina fetale. Questo non può essere fatto con la versione base di CRISPR, specialmente a causa del rischio di rotture del doppio filamento e di altri possibili danni non previsti al DNA.
L'induzione della produzione dell’emoglobina fetale rappresenta un potente approccio generalizzato per il trattamento dell’anemia falciforme e della maggior parte delle forme di beta talassemia, che possono essere causate da centinaia di mutazioni diverse. Come riportato sull’articolo, circa il 30% di emoglobina fetale distribuito uniformemente nei globuli rossi allevia la maggior parte dei sintomi causati dall’anemia falciforme. Le più recenti tecnologie permettono di intervenire in maniera puntuale e precisa, superando le problematiche legate alle meno recenti (se si può dire, visto che CRISPR è in uso da poco più di un decennio). Se confrontati sulla sicurezza, il base editing sembra vincere di nuovo.
Tra i trattamenti in fase di studio per queste patologie c’è la terapia genica: per la beta talassemia una terapia genica esiste già e ha già ottenuto l’approvazione, ma non è più disponibile sul mercato europeo da maggio 2022. Nel frattempo, la prima terapia basata su CRISPR arrivata alla sperimentazione sull’uomo è proprio per una emoglobinopatia: exagamglogene autotemcel (exa-cel) è stata una delle prime terapie a base di CRISPR ad entrare in trial, circa quattro anni fa, per trattare un caso di anemia falciforme (La storia di Victoria Gray, la prima paziente trattata e “curata” con Crispr è raccontata nel podcast di Osservatorio Terapie Avanzate “Reshape – Un viaggio nella medicina del futuro"). A febbraio è stata accolta la domanda di autorizzazione all’immissione in commercio di exa-cel da parte dell’Agenzia Europea dei Medicinali. Restano ancora diverse sfide, ma CRISPR e le emoglobinopatie vanno ormai a braccetto.