Staminali da cordone ombelicale

La ricerca pionieristica della prof.ssa Kurtzberg (Stati Uniti) espande l'uso del sangue del cordone ombelicale, aprendo nuove strade per il trattamento di patologie neurologiche

Il primo trapianto di cellule derivate dal sangue di cordone ombelicale è stato effettuato, con successo per una malattia rara, oltre 30 anni fa. Da allora la ricerca è andata avanti e le applicazioni cliniche si sono moltiplicate. Secondo Joanne Kurtzberg - direttrice del Marcus Center for Cellular Cures e codirettrice dello Stem Cell Transplant Laboratory alla Duke University, centro statunitense di eccellenza in queste procedure - ci troviamo ora di fronte a un capitolo nuovo e molto promettente di questo filone di terapie basate sul sangue del cordone ombelicale. Nel suo recente intervento, durante il convegno Advanced Therapies, che si è tenuto a Londra lo scorso 19 e 20 marzo, Kurtzberg ha condiviso i risultati incoraggianti di studi sulle cellule DUOC e le loro capacità di rimielinizzazione, con l'obiettivo di ampliare ulteriormente il loro potenziale per il trattamento di patologie neurologiche.

Il sangue del cordone ombelicale e le cellule staminali derivate dal sangue del cordone sono stati utilizzati in trattamenti per oltre tre decenni. Il primo trapianto fu eseguito nel 1988 dalla ricercatrice francese Éliane Gluckman e dallo statunitense Hal Broxmeyer, che salvarono la vita a Matthew Farrow, un bambino di 5 anni. Matthew lottava contro l'anemia di Fanconi, una rara malattia caratterizzata da insufficienza funzionale del midollo osseo, e ha ricevuto un trapianto di cellule staminali dal sangue del cordone ombelicale di sua sorella neonata. Ora Matthew ha superato i 40 anni, è un papà, e veste i panni di ambasciatore per la donazione del sangue cordonale negli eventi pubblici. Da quella procedura pionieristica, in tutto il mondo sono stati eseguiti oltre 40mila trapianti con sangue cordonale, e ciò ha permesso di allargare la platea dei beneficiari, includendo pazienti precedentemente esclusi per mancanza di donatori compatibili di sangue midollare o periferico.

Le cellule derivate dal sangue del cordone ombelicale, pur non avendo una perfetta compatibilità immunologica, possono essere trapiantate con sicurezza grazie al minore rischio di provocare la malattia del trapianto contro l'ospite, una grave complicazione che può verificarsi quando le cellule del donatore attaccano i tessuti dell'ospite. La prof.ssa Joanne Kurtzberg è stata la prima al mondo ad eseguire, nel 1993 presso il Duke Hospital, il primo trapianto di cellule del sangue del cordone ombelicale su un bambino da un donatore senza gradi di parentela. Tre anni dopo, la stessa Kurtzberg ha esteso questa pratica anche agli adulti. Questi eventi hanno rappresentato momenti chiave nell'evoluzione dei trapianti di cellule staminali, ampliando le possibilità di trattamento per pazienti affetti da diverse patologie. La prof.ssa Kurtzberg è intervenuta al congresso Advanced Therapies di Londra per presentare i risultati dei suoi ultimi studi a riguardo. “Nel nostro programma effettuiamo trapianti su pazienti affetti da diverse patologie, utilizzando il sangue del cordone ombelicale al posto del midollo osseo o del sangue periferico come fonte di donazione. Ci occupiamo in particolare del cervello e abbiamo eseguito trapianti su bambini affetti da leucodistrofie - ha spiegato Kurtzberg - In questi casi, le cellule staminali del sangue del cordone ombelicale, che normalmente si integrano nel sistema sanguigno e immunitario sostituendo gli enzimi mancanti a causa delle mutazioni legate alla malattia, mostrano anche la capacità di migrare verso il cervello”.

Il laboratorio guidata da Joanne Kurtzberg ha coltivato cellule microgliali/macrofagiche derivate dal sangue del cordone ombelicale del donatore (dai monociti con antigene CD14), sviluppando la terapia cellulare DUOC-1, da destinare al trattamento di malattie neurodegenerative e demielinizzanti. Le DUOC mostrano caratteristiche e comportamenti particolari. Queste cellule, analoghe ai macrofagi (ovvero quelle cellule del sistema immunitario in grado di fagocitare cellule o detriti cellulari), aderiscono alle superfici e rilasciano enzimi. Inoltre, hanno la capacità di promuovere la remielinizzazione, ovvero il ripristino della guaina mielinica danneggiata nel cervello (la mielina circonda le cellule nervose ed è vitale per il funzionamento del sistema nervoso). “Queste capacità sono state dimostrate attraverso test di coltura su tessuti sperimentali. Abbiamo visto che svolgono anche un ruolo chiave nella prevenzione della progressione della paralisi in modelli sperimentali di encefalite autoimmune, una condizione utilizzata per studiare la sclerosi multipla”. In entrambi questi scenari, le cellule vengono iniettate nel midollo spinale.

“Abbiamo sviluppato un protocollo iniziale per trattare le leucodistrofie (malattie neurodegenerative, ndr), utilizzando una specifica percentuale di un'unità di sangue del cordone destinata al trapianto. Abbiamo trattato un bambino a cui abbiamo previsto di dare l'80% di tale unità, seguito da una ricostituzione ematopoietica post-chemioterapia ad alta dose. Abbiamo poi utilizzato il rimanente 20% per produrre le cellule DUOC, pensate per funzionare come cellule microgliali, e le abbiamo somministrate un mese dopo il trapianto per favorire il processo di memorizzazione dell'innesto e per accorciare i tempi di arrivo delle cellule al cervello. Il bambino trattato con questo metodo sta bene”.

Proseguendo nello sviluppo di questa terapia sperimentale, il team della Duke University è passato ad un approccio basato sull'uso di due unità di sangue del cordone: una per la ricostituzione ematopoietica e l'altra per produrre DUOC in dosi maggiori. “Attualmente, abbiamo trattato 34 bambini e neonati con DUOC somministrate come terapia adiuvante, alla quale è stato aggiunto idrocortisone. Tutti i pazienti hanno risposto bene, ma rimane incerto in che misura i loro progressi post-trapianto siano dovuti al trapianto stesso o al DUOC”.

Poiché il gruppo di Joanne Kurtzberg ha dimostrato che sia i monociti estratti dal sangue del cordone ombelicale sia le cellule DUOC promuovono la proliferazione degli oligodendrociti nel cervello - un processo fondamentale per la remielinizzazione dei neuroni - è stato avviato uno studio clinico di Fase Ia a dosi più alte, somministrando DUOC come unico agente a pazienti adulti affetti da sclerosi multipla progressiva primaria (nella sclerosi multipla il sistema immunitario attacca la mielina danneggiandola). Oltre a testare la sicurezza del trattamento, durante lo studio verrà effettuata una risonanza magnetica a tre mesi per valutare la remielinizzazione nei pazienti. “Finora, abbiamo trattato 14 pazienti e prevediamo di raggiungere i 20 entro agosto per poi procedere all'analisi dei risultati”, ha affermato Kurtzberg.

Il team statunitense sta anche, da tempo, studiando l’applicazione del trapianto di sangue dal cordone ombelicale autologo (e non da donatore, come nei casi sopra citati) nella paralisi cerebrale, il disturbo motorio più diffuso nell'infanzia, che colpisce 2-3 bambini su 1.000 nati e causa disabilità per tutta la vita. Nelle fasi di sperimentazione preclinica, la strategia ha mostrato risultati promettenti. In uno studio clinico di fase II condotto su bambini, nonostante non ci fossero differenze nel cambiamento medio dei punteggi della Misura della Funzione Motoria Grossolana (GMFM-66) a 1 anno tra i gruppi placebo e trattati, è stato identificato un effetto dose-dipendente. I risultati di questo studio suggeriscono che, quando somministrata in dosi adeguate, un'infusione endovenosa di sangue del cordone ombelicale autologo può migliorare la connettività cerebrale complessiva e la funzione motoria nei bambini piccoli con paralisi cerebrale. Inoltre, “dai nostri studi, compresa una meta-analisi, è emerso che l'effetto più significativo delle infusioni di sangue del cordone si osserva nei bambini con paralisi cerebrale moderata. Questo ha incoraggiato la Food and Drug Administration (FDA), ha dare l’ok per l’avvio di un nuovo studio clinico progettato per dimostrare l'efficacia di queste infusioni in pazienti con paralisi cerebrale e altri danni cerebrali. Il protocollo prevede il trattamento di 208 bambini in tre centri, con l'obiettivo di osservare cambiamenti positivi nella funzione motoria, monitorati tramite risonanza magnetica e altri indicatori di efficacia”, ha dichiarato Joanne Kurtzberg.

“La strada davanti a noi è ancora lunga e richiederà molto impegno, ma sono fiduciosa che proseguendo nella ricerca potremo ampliare ancor di più le potenzialità di questo straordinario approccio”, ha concluso ottimista la professoressa.

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