Occhio

I risultati di uno studio in vitro, condotto su cellule staminali pluripotenti indotte, aprono la strada allo sviluppo di future terapie avanzate per le distrofie retiniche ereditarie 

È la struttura principale dell’occhio perché ospita gli elementi - coni e bastoncelli - che ricevono l’impulso luminoso e, attraverso una serie di strutture, lo trasmettono al nervo ottico il quale a sua volta lo invia al cervello dove viene elaborata un’immagine. Stiamo parlando della retina, la cui speciale organizzazione in strati consente la visione. Le malattie che la interessano provocano inevitabilmente una riduzione dell’acutezza visiva e, fino a qualche anno fa, alcune di esse non avevano possibilità di cura. L’approvazione di voretigene neparvovec per il trattamento della distrofia retinica ereditaria ha segnato un punto di svolta e ora i ricercatori sperano di sviluppare nuove terapie avanzate anche per altri disturbi, fra cui la malattia di Stargardt.

In un editoriale di commento recentemente apparso sulla rivista Molecular Therapy Nucleic Acids si fa riferimento agli ottimi risultati di un gruppo di ricerca spagnolo che, con un articolo sulla medesima rivista, aveva dimostrato la fattibilità di un sistema di correzione di due mutazioni collegate all’insorgenza della malattia di Stargardt in un modello ottenuto da cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC).

L’entusiasmo per il raggiungimento di questa prima sostanziale tappa si spiega pensando innanzitutto al tipo di malattia: la Stargardt, infatti, si manifesta all’inizio con una modesta compromissione dell’acutezza visiva centrale che, col progredire della patologia, peggiora sempre di più. Inoltre, col tempo molti pazienti accusano alterazioni nella percezione dei colori proprio in seguito alla progressione dei processi atrofici a danno della macula. Questa patologia ha esodio in età pediatrica (generalmente tra i 6 e i 15 anni) e osserva un modello di trasmissione autosomico recessivo. È provocata da alterazioni genetiche nel gene ABCA4, il quale codifica per una proteina di norma espressa nei fotorecettori: sono note oltre 1500 varianti patogenetiche di ABCA4 - alcune associate anche ad altre distrofie dei coni e dei bastoncelli - che i ricercatori stanno studiando con attenzione.

Difatti, i passi avanti effettuati nel campo della terapia genica per le malattie della retina hanno fatto sperare di poter individuare un’opzione terapeutica anche per la malattia di Stargardt che ancora manca di una cura risolutiva. Purtroppo, le dimensioni del gene ABCA4 hanno messo in evidenza i limiti dei vettori adenovirali perciò, anche se si stanno vagliando possibili nuove soluzioni di carico, alcuni gruppi di ricerca hanno guardato alle potenzialità dell’editing del genoma.

Fra di essi anche i biologi della Fondazione di Ricerca e del Dipartimento di Genetica dell’Istituto di Microchirurgia Oculare di Barcellona che si sono focalizzati su due mutazioni in particolare (c.4253+4C>T e c.3211_3212insGT) correlate all’insorgenza della Stargardt. Usando Crispr-Cas9 essi sono riusciti a correggere questi due errori all’interno della sequenza del DNA e sono poi andati a verificare la riuscita dell’operazione con l’aiuto di moderne tecniche di sequenziamento del genoma. La loro ricerca fonde tecniche di editing del genoma e di terapia cellulare dal momento che la correzione è stata effettuata in un modello ottenuto a partire da cellule staminali pluripotenti indotte sviluppato a partire da campioni di tessuto dei pazienti. Ciò che gli scienziati hanno potuto osservare è che non solo la correzione non comportava effetti negativi sulle cellule che hanno mantenuto la loro pluripotenza, ma non aveva prodotto nemmeno i cosiddetti effetti “off-target”, cioè la comparsa di alterazioni o modifiche in siti del DNA diversi da quelli desiderati.

Agli occhi dei “CRISPRofili” - e dell’intera comunità scientifica - l’esito di questa ricerca equivale al vasto insieme di peripezie che, nel corso delle due ore di pellicola, avevano condotto Indiana Jones sulla soglia del tempio dove era custodito il Sacro Graal. Ma i cinefili più accaniti ricorderanno di certo che, a quel punto, a separare l’eroe dal suo tesoro c’erano ancora tre difficili prove da superare. Potremmo quindi pensare al successo del team catalano come a un significativo passo avanti verso le tre fasi della ricerca clinica ma, prima che esse possano prendere avvio, è necessario dare risposte ad alcune domande di base: l’efficacia e la sicurezza di questo approccio saranno confermate anche nei modelli animali? Le cellule corrette saranno in grado di differenziarsi nelle strutture necessarie a rimpiazzare i fotorecettori danneggiati dalla malattia? E soprattutto, l’effetto prodotto sarà duraturo?

La scelta di usare le iPSC facilita l’opportunità di una trapianto cellulare senza effetti collaterali gravi - la cosiddetta malattia da trapianto contro l’ospite (GvHD, Graft versus Host Disease) - poiché le cellule sono ottenute dal paziente stesso. Gli esaltanti esiti di questa interessante ricerca non esauriscono i dubbi sull’efficienza della correzione e sulla potenziale insorgenza di effetti collaterali, a cui bisognerà trovare risposta con ulteriori e approfondite indagini sui modelli animali e, in seguito, nei trial clinici.

Il cammino che porta a una terapia mirata contro la malattia di Stargardt è solo al principio, ma le premesse sono solide e le aspettative per il prossimo futuro non possono che essere buone.

Con il contributo incondizionato di

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