Il motto della giornata mondiale 2023 riguarda proprio la cura: #Battenadvocatesforacure. Sono diversi gli studi in corso sulla terapia genica, ma si tratta ancora di sperimentazioni in fase iniziale
Il 9 giugno è la giornata mondiale per la malattia di Batten (#BattenDay2023), nome che racchiude un ampio ed eterogeneo gruppo di malattie neurodegenerative rare di origine genetica, note anche come ceroidolipofuscinosi neuronali (CLN). Sebbene sia stata descritta all’inizio del secolo scorso da Frederik Batten, solo nel 1995 sono stati identificati i primi geni correlati alla malattia. Da allora sono oltre una decina le forme di patologia che sono state classificate, da CLN1 a CLN14. Purtroppo, non esiste una cura per la Batten e i trattamenti attualmente disponibili si basano sulla gestione dei sintomi. La terapia genica è un approccio terapeutico in fase iniziale di ricerca, ma sono diversi gli studi clinici che intendono esplorare concretamente questa possibilità.
TERAPIA PERSONALIZZATA: UN TENTATIVO CON GLI ASO
Qualche anno fa la malattia di Batten è stata protagonista del primo studio che riguardava un farmaco personalizzato e specifico per una sola paziente: Mila, affetta da una rarissima forma di ceroidolipofuscinosi. Alla bambina americana, infatti, è stato somministrato un farmaco – chiamato milasen - creato su misura per lei grazie al supporto di un crowdfunding organizzato dalla sua famiglia. Basato sulla tecnica degli oligonucelotidi antisenso (ASO), il trattamento aveva lo scopo di correggere l’effetto della mutazione. Gli ASO hanno effettivamente portato a termine la loro funzione, ma le condizioni cliniche di Mila erano già molto gravi e la prognosi non è cambiata.
Non è stato un episodio isolato, negli ultimi anni molte famiglie hanno provato a intraprendere questo percorso di autofinanziamento della ricerca. Questa vicenda ha dato modo di aprire il dibattito sulla fattibilità e sulla sostenibilità delle terapie personalizzate per le malattie rare e ultrarare.
PUNTARE ALLA TERAPIA GENICA
Le mutazioni genetiche che causano le ceroidolipofuscinosi distruggono la capacità della cellula di gestire i rifiuti, in particolare la ceroidolipofuscina, che consiste in un accumulo di polimeri (in particolare grassi e proteine) in genere correlato all’invecchiamento. Le diverse forme della malattia sono classificate in base al gene che causa il disturbo: a causa delle diverse mutazioni genetiche, i segni e i sintomi variano per gravità e progrediscono a ritmi diversi.
La malattia di Batten, essendo un disturbo autosomico recessivo, si sviluppa solo se una persona eredita due copie di un gene difettoso, una da ciascun genitore. Questo comporta la produzione di proteine non funzionali o con funzione ridotta rispetto alla versione sana. Per sopperire alla mancanza di queste proteine è disponibile la terapia enzimatica sostitutiva con cerliponase alfa, che però è applicabile solo nei casi di ceroidolipofuscinosi di tipo 2. Per le altre forme non esiste un’opzione simile: da qui la spinta a trovare una soluzione alternativa e, si spera, efficace.
L’idea alla base della terapia genica è quella di fornire alle cellule una versione intatta del gene per ripristinare la normale funzione. Sfruttando la naturale capacità dei virus di trasportare materiale genetico nelle cellule, i ricercatori creano vettori virali – innocui – che trasportano il gene sano a destinazione. L’obiettivo sono i neuroni non in divisione del sistema nervoso centrale, in modo che il gene venga mantenuto per un periodo di tempo relativamente lungo.
GLI STUDI CLINICI ATTIVI
Alla fine dello scorso anno, l’azienda biotech REGENXBIO ha annunciato degli aggiornamenti per il programma di terapia genica per la CLN2, la forma più comune della malattia di Batten. Due sono le terapie candidate in fase di sviluppo clinico: RGX-181 e RGX-381. Nel 2022, all'Hospital de Clinicas di Porto Alegre (Brasile), RGX-181 è stata somministrata nel primo bambino. I dati preliminari diffusi a dicembre dello stesso anno indicavano che la terapia era stata ben tollerata, senza eventi avversi gravi. RGX-181 è una terapia one-shot, che utilizza un vettore AAV9 per veicolare il gene TPP1 nel sistema nervoso centrale, che mira a trattare le manifestazioni neurodegenerative, come la perdita del linguaggio, delle capacità intellettuali e della abilità motorie. Nel Regno Unito è stato, invece, avviato uno studio clinico di Fase I/II - in corso al Great Ormond Street Hospital di Londra - per valutare la sicurezza e l’efficacia di RGX-381. In questo caso l’obiettivo sono le manifestazioni oculari, motivo per cui la terapia viene veicolata direttamente nella retina.
Altri due studi in corso sono condotti da Amicus Therapeutics. Il primo è uno studio sulla terapia genica AT-GTX-502 per la CLN3 in pazienti pediatrici. Si tratta di un trial di Fase I/II per valutare sicurezza ed efficacia del trattamento, che prevede un’unica somministrazione nel midollo spinale. Il secondo è uno studio di follow-up a lungo termine che coinvolge i partecipanti di un precedente studio clinico che ha previsto la somministrazione di AT-GTX-501 come terapia per la CLN6.
L’azienda Neurogene sta conducendo uno studio prospettico di Fase I/II su una terapia genica sperimentale per bambini di età compresa tra i 3 e i 9 anni affetti da CLN5. Il trattamento sarà somministrato tramite iniezione intracerebroventricolare e intravitreale nello stesso giorno e ogni partecipante sarà seguito per cinque anni dopo il trattamento per valutare la sicurezza ed efficacia a lungo termine. Le valutazioni terranno in considerazione le funzioni motorie, linguistiche, visive e cognitive.
L’ultimo studio attualmente attivo sulla malattia di Batten è condotto dall’University of Texas Southwestern Medical Center. Anche in questo caso è in fase iniziale e prevede la somministrazione per via intratecale (ovvero nel liquor spinale) della terapia genica AAV9/CLN7 in pazienti pediatrici affetti da CLN7.
ALCUNI OSTACOLI DA SUPERARE
Un problema significativo della somministrazione della terapia genica è la risposta immunitaria del paziente, che può ridurre l’effetto del trattamento o causare effetti negativi sull’organismo. Altro fattore da valutare è il superamento della barriera-ematoencefalica, struttura che regola l’ingresso delle sostanze nel cervello e che impedisce alla terapia di raggiungere i neuroni. Questo si traduce nella necessità di fare molteplici iniezioni nel cervello per raggiungere un numero sufficiente di cellule, ma questo può creare danni. Sono in fase di studio metodi per superare anche questo ostacolo, un pezzo per volta il puzzle si completerà.