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Chiara Bonini

Prof. Chiara Bonini

Prof.ssa Bonini: “Combinando immunoterapia ed editing genomico abbiamo generato un prodotto cellulare che è risultato efficace in preclinica. Ora un trial clinico è stato avviato negli USA e in UK”

Parafrasando una frase dello scrittore e aviatore francese Antoine de Saint-Exupéry potremmo affermare che, in certe situazioni, “l’essenziale è invisibile al CAR”, per far comprendere come alcuni antigeni caratteristici di un tumore possano localizzarsi in aree della cellula che le terapie a base di cellule CAR-T non sono in grado di raggiungere. Tali antigeni - a volte dotati di funzioni chiave per la sopravvivenza della cellula tumorale - rimangono “invisibili” al trattamento il quale, in questo modo, risulta di efficacia limitata. Perciò occorre trovare un modo per esplorare tutto il bagaglio antigenico della cellula tumorale, non solo quello presente sulla superficie esterna. Ed è proprio a questo che si sono dedicati i ricercatori dell’Ospedale San Raffaele di Milano, che hanno recentemente pubblicato un lavoro su Science Translational Medicine.

Sotto la guida di Chiara Bonini - professoressa ordinaria di Ematologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e vice direttrice della Divisione di Ricerca in Immunologia Trapianti e Malattie Infettive dell’Ospedale San Raffaele di Milano - i ricercatori hanno trovato un modo per produrre dei linfociti T finemente ingegnerizzati e capaci di riconoscere in maniera specifica le cellule della leucemia mieloide acuta, restando in circolo più a lungo nell’organismo del paziente, pronti a riattivarsi in caso di recidiva. I risultati, pubblicati lo scorso 9 febbraio, identificano come perno dell’intera ricerca il recettore TCR di cui sono dotati i linfociti T.

- Prof.ssa Bonini, qual è la differenza tra le terapie a base di cellule CAR-T e quella da voi sviluppata con l’ingegnerizzazione del TCR?

Si tratta di due approcci “fratelli” che presentano sia elementi comuni che diversi. Come tutti i nuovi trattamenti hanno i loro vantaggi e svantaggi ma, nello scenario della nascente immunoterapia, sono destinati ad occupare entrambi una ben precisa collocazione. Ciò che accomuna il CAR e il TCR è il fatto che in entrambi i casi il punto di partenza siano i linfociti T dei pazienti, che vengono prelevati e ingegnerizzati per poter riconoscere la cellula tumorale.

Il recettore chimerico CAR è una proteina che non esiste in natura ma è stata creata ad hoc per mettere il linfocita T nelle condizioni di individuare il “nemico”, invece il TCR è una struttura tipica del linfocita T grazie a cui questo può riconoscere la presenza di virus, batteri o cellule tumorali all’interno dell’organismo. Il CAR ha il vantaggio di poter essere utilizzato in tutti i pazienti, dal momento che riconosce le proteine nella loro forma nativa, presenti sulla membrana esterna della cellula tumorale. Invece, il recettore TCR riconosce le proteine in forma di piccoli frammenti che vengono montati dalle molecole del sistema HLA, lo stesso che si considera per la compatibilità nei trapianti. Pertanto, non importa in quale sede della cellula tumorale si trovi il target, il TCR la riconosce. Non è necessario che la proteina sia presente in superficie, può trovarsi anche all’interno della cellula tumorale (dove il CAR non può arrivare).

Le cellule del tumore evolvono e tendono ad inibire tutto quello che ne limita la crescita: è così che esse diventano resistenti a una data terapia. Ingegnerizzando il TCR avremo accesso a un più ampio repertorio di antigeni e, se ne scegliamo uno importante per la sopravvivenza della cellula tumorale, possiamo sperare di colpirla duramente, abbassando la sua probabilità di sviluppare resistenza ai trattamenti. Inoltre, i TCR hanno la capacità di stimolare la sopravvivenza dei linfociti garantendo una maggior durata alle cellule contro un’eventuale ricomparsa del tumore. 

- Qual è, invece, lo svantaggio di questo nuovo approccio?

Lo svantaggio principale è che, riconoscendo un frammento di proteina sull’HLA, il TCR può essere usato solo nei pazienti che posseggono quella specifica molecole di HLA. Presenti sulla superficie delle nostre cellule, le molecole HLA (Human Leukocyte Antigens) sono proteine che contribuiscono a rendere ogni individuo diverso dall’altro. Infatti, sono le principali responsabili delle reazioni di rigetto d’organo nei trapianti. Nel caso dei trapianti di midollo si ricerca la compatibilità su tutto il sistema HLA, che è composto da molti geni differenti. Invece, nel caso dell’ingegnerizzazione del TCR dei linfociti è sufficiente individuare uno specifico gene di compatibilità.

- In che modo avete risolto il problema della compatibilità?

Nella nostra ricerca ci siamo concentrati su HLA-A*02:01, un allele tra i più frequenti del sistema HLA, presente in oltre il 40% della popolazione caucasica. Il recettore TCR da noi sviluppato è dunque originato da un donatore con un’istocompatibilità tra le più diffuse. Tuttavia, siamo convinti che riuscendo a ingegnerizzare i linfociti con TCR ristretti da diversi alleli HLA potremmo arrivare a coprire oltre il 95% della popolazione

- Quale antigene tumorale avete preso come bersaglio nel vostro studio?

Ci siamo concentrati su WT1, un antigene tumorale noto da molti anni. Infatti, nel 2009 fu pubblicato sulla rivista Clinical Cancer Research uno studio finanziato dall’NIH e volto a confrontare un’ampia gamma di antigeni espressi dalle cellule del tumore. Di ognuno sono stati posti a confronto frequenza di espressione, immunogenicità, rilevanza nei processi di oncogenesi e progressione tumorale: nella graduatoria ottenuta combinando tutte queste informazioni WT1 è risultato al primo posto. Si tratta di un antigene estremamente significativo, specie nel caso della leucemia mieloide acuta. Ma si trova all’interno della cellula per cui non può esser oggetto di una terapia a base di CAR-T. Ecco perché abbiamo scelto di concentrarci sul TCR dei linfociti T.

Tuttavia, anche in questo caso, era importante scegliere con cura il frammento giusto. Ad esempio, come si può leggere in uno studio pubblicato insieme al nostro da Phil Greenberg, e dal suo gruppo di studio presso il Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, non tutti i frammenti di WT1 sono adatti a un’immunoterapia basata sul TCR.

- Pertanto il vantaggio del vostro approccio consiste nella stabilità del frammento antigenico scelto. È questo che consente alla terapia di non perdere efficacia?

Nella terapia dei tumori non viene mai meno la necessità di prendere di mira diverse componenti delle cellule tumorali. Tanto che anche i protocolli di chemioterapia prevedono combinazioni di farmaci diversi. Tuttavia, il frammento di WT1 da noi individuato risulta più stabile di tutti quelli visti fino ad ora e ha prodotto dati preclinici molto significativi.

- Ma come siete riusciti a portare questo TCR specifico per WT1 dentro il linfocita T?

Lo abbiamo fatto combinando approcci derivanti da diverse terapie avanzate. In particolare, siamo ricorsi a Crispr-Cas9, una tecnica di editing del genoma che ha rivoluzionato l’intero settore della biotecnologia.

In questo caso, infatti, non potevamo usare i vettori virali tipici della terapia genica dal momento che esisteva la possibilità che il linfocita T finisse con l’esprimere due recettori TCR, il nostro antitumorale e quello presente in origine (endogeno). Questi avrebbero potuto mescolarsi e generare chimere che non saremmo stati in grado di controllare con conseguenze potenzialmente rischiose per l’organismo. Perciò, abbiamo usato Crispr-Cas9 per lavorare sulla regione costante dei TCR endogeni e, così facendo, alla fine il linfocita ha espresso solo il TCR antitumorale diretto contro WT1. Grazie alla collaborazione con la biotech statunitense Intellia Therapeutics abbiamo ottenuto un prodotto terapeutico che già dalla fase preclinica si è rivelato molto promettente.

- Perciò avete avviato subito degli studi clinici?

È già in fase di arruolamento negli Stati Uniti e nel Regno Unito un trial clinico di Fase I/IIa rivolto a 54 pazienti con leucemia mieloide acuta caratterizzati dalla presenza di WT1, dell’allele HLA-A*02:01 e leucemia resistenti a precedenti trattamenti. In questa fase di studio saranno valutate la sicurezza, la tollerabilità e la cinetica del nuovo farmaco, e sarà ricercata la giusta dose da somministrare. Se otterremo risultati interessanti la sperimentazione potrà procedere e sarà valutata anche l’efficacia della terapia sull’uomo.

- Vista la buona partenza, possiamo sperare che questa nuova opzione raggiunga anche le prime linee di terapia?

Ogni nuovo approccio terapeutico deve essere rivolto in prima istanza a quelle situazioni per cui non esistono ancora trattamenti efficaci. Se i livelli di efficacia e sicurezza si riveleranno ottimali un domani sarà possibile ipotizzare di anticipare il trattamento. Tuttavia, il possibile futuro di questa nuova forma di immunoterapia non è basato unicamente sull’anticipo delle linee terapeutiche, ma guarda in maniera particolare all’ampio ventaglio di malattie. Oltre alla leucemia mieloide acuta anche alcuni tumori solidi esprimono l’antigene WT1 e stiamo già lavorando per verificare il potenziale del nostro approccio contro di essi. Oggi disponiamo di un procedimento ben consolidato che auspichiamo possa condurci un domani ad un più vasto armamentario terapeutico contro diverse patologie. 

Con il contributo incondizionato di

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