sistema immunitario, terapia genica

Uno dei problemi della terapia genica è il non poter ricevere una seconda dose per il rischio di scatenare una risposta immunitaria pericolosa per l’organismo

Un articolo recentemente pubblicato ha messo sotto i riflettori un problema noto a chi fa ricerca clinica nel settore della terapia genica: la risposta immunitaria ai virus usati come vettori per veicolare il “gene terapeutico” al suo bersaglio. Il numero di approvazioni e di sperimentazioni di terapie geniche sono aumentate nell'ultimo decennio, ma l'impossibilità di somministrare più di una dose limita le applicazioni terapeutiche. Gli effetti di alcuni trattamenti, infatti, si attenuano nel tempo, mentre altri potrebbero aver bisogno di essere somministrate in più dosi per fornire un beneficio significativo. Questo è noto oggi grazie agli studi fatti in questi anni, ricerche che hanno anche permesso di pensare a delle possibili soluzioni al problema.

Idealmente, la terapia genica è stata concepita come un trattamento unico – infatti è anche chiamato one-shot - ma in pratica è probabile che sia necessario un nuovo dosaggio a seconda del tessuto bersaglio, dell'età del paziente e dell’efficacia a lungo termine della terapia. Questo è uno dei parametri in studio nelle analisi di follow-up dei pazienti. Inoltre, sebbene i virus adeno-associati (AAV) siano abbastanza efficaci, a volte sono necessarie dosi sistemiche elevate. Entrambi questi fattori possono provocare eventi avversi associati all'immunogenicità dell'AAV e del transgene. Come spiegato in una recente review pubblicata su Signal Transduction and Targeted Therapy il virus adeno-associato è emerso come strumento di somministrazione fondamentale nella terapia genica grazie alla sua minima patogenicità e alla capacità di stabilire l'espressione genica a lungo termine in diversi tessuti. L'AAV ricombinante (rAAV) è stato ingegnerizzato per una maggiore specificità e sviluppato come strumento per il trattamento di varie malattie. Sono diverse le terapie geniche a base di rAAV autorizzate e in commercio (potete consultare la tabella di Osservatorio Terapie Avanzate che riporta i dettagli delle terapie avanzate approvate), ma continuano a sussistere preoccupazioni sulla sicurezza dell'uso ad alte dosi nell'uomo, tra cui le risposte immunitarie e gli effetti avversi come genotossicità, epatotossicità, microangiopatia trombotica e neurotossicità.

Molte persone non possono partecipare agli studi clinici a causa di una immunità naturale o della precedente esposizione ai virus adeno-associati (AAV): sono virus relativamente innocui che circolano nell'ambiente e che gran parte della popolazione ha incontrato nella vita senza neanche accorgersene. In queste persone l’organismo è istruito per distruggere un virus adeno-associato nel caso si ripresenti, un eventuale trattamento di terapia genica basata su AAV si tradurrebbe quindi in una mancata efficacia o, peggio ancora, in un potenziale rischio per la sicurezza. Inoltre, per gli stessi motivi, nei pazienti in cui viene somministrato con successo il trattamento non si può procedere a futuro secondo dosaggio con la stessa terapia genica o con altre terapie geniche basate su vettori AAV.

La necessità di una soluzione è diventata più chiara con l'aumentare delle conoscenze in materia di terapia genica. Come riportato da Nature, studi condotti in diversi Paesi hanno stimato che il 30-70% della popolazione ha anticorpi in grado di neutralizzare AAV. Per questo motivo, alcune famiglie, desiderose di iscrivere un proprio caro a una sperimentazione clinica, scelgono addirittura di autoisolarsi per anni per minimizzare il rischio di esposizione all'AAV ed evitare così l’esclusione dallo studio clinico a causa della presenza di anticorpi specifici.

Ma come prevenire gli effetti collaterali di una doppia esposizione a un AAV? Ancora non esiste una risposta definitiva a questa domanda, ma molti gruppi di ricerca stanno portando avanti studi per trovare una soluzione. Le strade sono molte e vanno dal testare i farmaci antirigetto alle tecniche per smorzare l’attività delle cellule B, che sono le responsabili della risposta anticorpale ai vettori virali. Altre idee sono quella di bloccare la risposta innata o di ingegnerizzare il capside del vettore e il carico per ridurre l’effetto immunogenico. Le alternative prevedono anche di valutare vettori diversi: classi di virus che non sono AAV, ma anche vettori non virali come le nanoparticelle.

Molte opzioni e nessuna certezza per il momento. Come spesso accade in medicina, potrebbe essere necessaria una combinazione di approcci per raggiungere lo scopo prefissato, ovvero rendere possibile il ri-dosaggio della terapia genica di interesse (o la prima somministrazione nel caso di immunità iniziale).

Con il contributo incondizionato di

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